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Presupposti per l’esercizio del potere legislativo regionale in periodo di prorogatio secondo lo statuto della Regione Abruzzo (2/2015)

Sentenza n. 64/2015 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 17/04/2015 - Pubblicazione in G.U. 22/04/2015 n. 16

Motivi della segnalazione:

La decisione precisa che, in base alla corretta interpretazione delle previsioni del vigente Statuto della Regione Abruzzo, il Consiglio regionale abruzzese è legittimato a legiferare in periodo di prorogatio anche per l'adozione di interventi che non presentano il carattere della dell'urgenza e della necessità, purché ricorra uno dei diversi ed autonomi presupposti a tal fine tipizzati dallo stesso Statuto. In particolare, secondo la Corte rispetta tali presupposti, in quanto rientra fra gli interventi che si rendono dovuti in base a disposizioni costituzionali o legislative statali, una legge regionale quale quella oggetto di impugnazione, diretta rimuovere la situazione di incertezza, sul piano normativo, in ordine alla procedura da seguire per assicurare il coordinamento della pianificazione paesaggistica regionale con gli altri strumenti di pianificazione territoriali sottordinati, in attuazione dall'art. 145 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e in linea con gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale su tale materia. Con tale legge il Consiglio regionale, pur dopo il suo scioglimento, era intervenuto per riempire il vuoto normativo apertosi in seguito alla sentenza n. 211 del 2013, che aveva dichiarato illegittima la previgente disciplina sulla medesima materia.

L'occasione di fornire tali precisazioni è data dall'esame della questione di legittimità costituzionale dell'intero testo della legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione), impugnata dal Governo in base all'assunto che il provvedimento fosse stato adottato dal Consiglio regionale nel periodo di prorogatio successivo allo scioglimento dell'assemblea regionale per fine legislatura (ed antecedente alla data fissata per lo svolgimento delle nuove elezioni), in assenza dei presupposti per l'esercizio del potere legislativo regionale che caratterizzano tale periodo, indicati dallo Statuto regionale. In particolare il Governo aveva denunciato la violazione dell'art. 123 Cost., allegando l'insussistenza delle condizioni che legittimano il Consiglio regionale a legiferare, contemplate nell'art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale 28 dicembre 2006 (Statuto della Regione Abruzzo), in base al quale «[...] nei casi di scioglimento anticipato e di scadenza della Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalità disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali o che, comunque, presentano il carattere della urgenza e necessità [...]».

La Corte perviene al risultato sopra indicato muovendo dalla constatazione che "le censure svolte dal ricorrente appaiono tutte incentrate sull'assunto [...] dell'assenza dei caratteri di indifferibilità ed urgenza nel provvedimento legislativo de quo, che non si configurerebbe «quale atto dovuto tale da non poter essere rinviato per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell'ente»". A queste affermazioni essa oppone la propria interpretazione delle previsioni statutarie, diversa da quella data dal legislatore.

In particolare, al punto 3 del "considerato" n. 2 si precisa: "le condizioni fissate dalla norma statutaria per consentire l'esercizio delle funzioni legislative del Consiglio regionale in periodo di prorogatio non sono limitate ai soli casi di interventi che presentino i caratteri dell'urgenza e della necessità. L'art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto (in ordine al quale da questa Corte è stato affermato che non sono stati superati i limiti imposti dall'art. 123 Cost. e sul cui contenuto non è stata mossa alcuna censura, neppure ai sensi e nei termini di cui al secondo comma dell'art. 123 Cost.) si riferisce agli interventi «che, comunque, presentano il carattere dell'urgenza e necessità», come ad una ipotesi autonoma ed aggiuntiva rispetto «agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali». Questi interventi dunque (secondo il senso inequivoco desumibile dalla lettera della norma e dalla sua ratio) non devono essere necessariamente connotati nei fatti dalla configurabilità dei presupposti della necessità e urgenza, che, viceversa, giustificano la legittimità di interventi diversi da quelli tipizzati". In definitiva, "l'enfatizzazione del requisito della necessità ed urgenza, quale unico e generale presupposto per l'esercizio dei poteri in periodo di prorogatio, è frutto di un erroneo presupposto interpretativo in cui è incorso il ricorrente, fermo restando che la prorogatio comporta che non possa essere invaso il campo delle scelte normative connaturate al pieno esercizio del mandato elettorale (sentenze n. 55 e n. 44 del 2015)".

Al punto 4 dello stesso "considerato" la Corte evidenzia ancora che: "dalla relazione al progetto di legge in questione (da cui, in base a quanto affermato nella sentenza n. 68 el 2010, può trarsi la ratio dell'intervento e la sussistenza dei connaturati limiti di legittimazione), il legislatore abruzzese premette espressamente che l'adozione dell'atto normativo nasce dalla «esigenza di rimuovere la situazione di incertezza, sul piano normativo, in ordine alla procedura da seguire per assicurare il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione». E che tale situazione «trae origine dal vuoto normativo creatosi con la pronuncia della Corte costituzionale n. 211 del 3-18 luglio 2013, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della L.R. 28 agosto 2012, n. 46 [...], il cui testo aveva sostituito l'art. 2-bis della L.R. 2/2003, recante la disciplina del coordinamento delle previsioni fissate nella pianificazione paesaggistica regionale con quelle contenute negli strumenti pianificatori sottordinati». Sicché, è proprio in seguito alla citata sentenza che «si registra, pertanto, la necessità di procedere [...] all'approvazione di un nuovo provvedimento legislativo allo scopo di colmare il vulnus provocato dalla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 2 della L.R. 46/12, attraverso l'introduzione nell'ordinamento regionale di una disciplina che individui le procedure da seguire per l'esercizio delle funzioni di coordinamento dell'attività di pianificazione paesaggistica con quella di pianificazione locale, in ossequio ai principi di tutela e partecipazione fissati dall'art. 145 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, nonché in linea con la lettura fornita dal Giudice delle Leggi circa gli obblighi di pianificazione concertata»". Come la stessa Corte ricorda, la sentenza n. 211 del 2013 aveva "sottolineato espressamente la necessità che la Regione (nell'ottica della salvaguardia del territorio mediante pianificazione paesaggistica ad opera congiunta dello Stato e delle Regioni, ex art. 135, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) predisponga una disciplina del «procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (ai sensi dell'art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004)". Poiché "le richiamate ragioni contenute nei lavori preparatori [...] lungi dal configurarsi come giustificazioni meramente pretestuose circa la sussistenza dei requisiti del legittimo esercizio del potere legislativo in tempo di prorogatio consentono di ricomprendere, quello impugnato, nel novero degli interventi che si rendano comunque dovuti in base a disposizioni costituzionali e/o legislative statali, e dunque consentiti dalla più volte richiamata norma statutaria", la questione viene rigettata.

La Corte dichiara invece l'illegittimità (nel testo originario, che aveva comunque potuto essere applicato prima di essere modificato) dell'art. 2, commi 4 e 5, della medesima legge regionale, che aveva disciplinato senza prevedere il necessario coinvolgimento degli organi ministeriali (e pertanto in difformità dalle previsioni degli'artt. 143, co. 2 e 156, co. 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) il caso in cui, in sede di adeguamento della pianificazione urbanistica a quella comunale, «la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.». A questa conclusione essa perviene sulla base della propria precedente giurisprudenza, ricordando che questa, "anche di recente (sentenza n. 197 del 2014), ha ribadito che la mancata (o non adeguata) partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica determina l'evidente contrasto con la normativa statale, che – in linea con le prerogative riservate allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (tra le molte, sentenza n. 235 del 2011) – specificamente impone che la Regione adotti la propria disciplina di conformazione «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo»".

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