Archivio rubriche 2016

Fonti internazionali (1/2016)

Notizia 1: Segreto di Stato e impunità: la sentenza “Nasr e Ghali c. Italia” della Corte europea dei diritti dell’uomo Sent. 23 febbraio 2016, n. del ricorso 44883/09 

Notizia 2: La recente ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo Legge 16 novembre 2015, n. 199, in GU n. 293 del 17 dicembre 2015

Notizia 3: Sulla cooperazione tra Italia e Francia per la realizzazione di operazioni congiunte di polizia. Legge 1 dicembre 2015, n. 215, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Ministro dell'interno della Repubblica italiana e il Ministro dell'interno della Repubblica francese in materia di cooperazione bilaterale per l'esecuzione di operazioni congiunte di polizia, fatto a Lione il 3 dicembre 2012. (15G00228).

Notizia 4: Recente approvazione di leggi di ratifica ed esecuzione di accordi internazionali in materia di utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, di cooperazione nel settore della difesa e di contrasto alla criminalità organizzata.    

 

a) Cooperazione tra Italia e Stati Uniti nella esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico. LEGGE 16 novembre 2015, n. 197, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo quadro tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d’America per la cooperazione nell’esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici, fatto a Washington il 19 marzo 2013. (15G00214). 

B) Cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Cile e tra Italia e Montenegro. LEGGE, 16 Novembre 2015, n. 200, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Cile sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 25 luglio 2014.  LEGGE 16 novembre 2015, n. 213, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro in materia di cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 14 settembre 2011. (15G00226)

C) Cooperazione tra italia e Kazakistan nel contrasto alla criminalità organizzata. LEGGE 7 dicembre 2015, n. 216. Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Kazakhstan di cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata, al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, di precursori e sostanze chimiche impiegate per la loro produzione, al terrorismo e ad altre forme di criminalità, fatto a Roma il 5 novembre 2009. (15G00229)

Notizia n. 1: Segreto di Stato e impunità: la sentenza “Nasr e Ghali c. Italia” della Corte europea dei diritti dell’uomo (Sent. 23 febbraio 2016, n. del ricorso 44883/09)

1. La sentenza in nota rappresenta l’ultima tappa del tortuoso percorso giudiziario relativo all’”extraordinary rendition” dell’Imam egiziano Osama Mustafa Hassan Nasr (noto come “Abu Omar”)[1]. Essa segna una condanna nei confronti dell’Italia per responsabilità riferite ad alcune tra le massime istituzioni dello Stato, in particolare il Governo, la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica. Una sentenza notevole che non giunge inaspettata.

I fatti risalgono al 17 febbraio 2003 quando Abu Omar, imam di un centro culturale islamico, indagato per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, è stato sequestrato a Milano da agenti dei servizi segreti italiani (SISMI) per volontà dei servizi segreti americani (CIA) per essere trasferito da quest’ultimi prima in Germania e poi in Egitto, al fine di essere sottoposto a detenzione segreta e a interrogatori basati sull’impiego di sevizie e torture.

Le lunghe e complesse indagini compiute dalla Procura di Milano hanno portato nel 2006 all’arresto di alcuni agenti del SISMI. Tra gli indagati vi era anche il direttore del SISMI che ha rifiutato di subire l’interrogatorio sollevando il segreto di Stato.

Nel 2007, il GUP di Milano ha rinviato a processo 32 agenti dei servizi segreti, 26 dei quali della CIA. Due anni dopo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 106, ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione sollevato dal Governo e ha confermato l’apposizione del segreto di Stato. Il processo penale si è dunque concluso, il 4 novembre 2009, con sentenza del Tribunale di Milano n. 12428 che ha pronunciato il proscioglimento di tutti gli agenti italiani in virtù del segreto di Stato e con la condanna, con pene alla reclusione tra 5 e 8 anni, per gli agenti della CIA - pene peraltro, mai eseguite poiché il Ministro della giustizia non ha mai trasmesso la relativa richiesta di estradizione.

La sentenza di primo grado è stata sostanzialmente confermata in appello ma, il 19 settembre 2012, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la pronuncia d’appello, nella parte concernente gli agenti italiani, valorizzando la presenza di elementi di prova esorbitanti l’ambito del segreto che avrebbero consentito l’accertamento della loro responsabilità penale.

Il 12 febbraio 2013, la Corte di Appello di Milano, in sede di rinvio, ha condannato il direttore del SISMI a 10 anni di reclusione e il suo braccio destro a 9 anni, in applicazione del principio affermato dalla Corte di Cassazione sull’esigenza di restringere la portata del segreto di Stato.

A questo punto, il Governo ha sollevato nuovamente il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale che lo ha accolto con la sentenza n. 24 del 14 gennaio 2014. Secondo quest'ultima, il segreto in questione è posto a tutela dell’interesse supremo della sicurezza e della integrità dello Stato per cui la sua copertura dovrebbe proiettarsi su tutti i fatti, notizie e documenti riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi segreti e i rapporti con quelli di altri Stati, a condizione che gli atti e i comportamenti degli agenti siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato.

Di conseguenza, il 24 febbraio 2014, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna della Corte di Appello di Milano e ha assolto definitivamente gli agenti del SISMI in virtù del segreto di Stato. 

2. La Corte europea si era già occupata delle gravissime ricadute del fenomeno delle “extraordinary renditions” sui diritti umani tutelati dalla Convenzione europea in una serie di casi precedenti all'affare “Nasr e Ghali c. Italia”.

Secondo tale giurisprudenza, l’espressione “extraordinary renditions” si riferisce, in particolare, alle operazioni segrete condotte dalla CIA con il coinvolgimento di alcuni agenti e funzionari di Stati europei nel quadro della lotta al terrorismo internazionale. Esse si caratterizzano per la commissione di plurimi comportamenti illeciti, normalmente consistenti nel sequestro e nel trasferimento clandestino di presunti terroristi nei loro Paesi d’origine, al fine di sottoporli a detenzione segreta e a interrogatori basati sull’impiego della tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Sono pertanto operazioni dirette a sottrarre la persona sospettata di terrorismo a qualsiasi garanzia costituzionale, con l’effetto di cagionarle sofferenze fisiche e morali.

Esse costituiscono altresì attentato ai fondamenti della democrazia e dello stato di diritto giacché queste operazioni sono svolte in segreto e in violazione di alcuni principi basilari degli ordinamenti costituzionali democratici.

Nello scorso decennio le “extraordinary renditions” hanno rappresentato una prassi preoccupante per il Consiglio d’Europa giacché queste operazioni sono state spesso condotte da agenti della CIA con la complicità di alcuni Stati europei, responsabili ora di procedere alla cattura, ora di mettere a disposizione aeroporti e infrastrutture, ora di insabbiare le indagini necessarie all’accertamento dei fatti e al risarcimento delle vittime. Risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno duramente condannato la prassi degli Stati europei coinvolti nel compimento di tali crimini[2]. Sul caso relativo ad Abu Omar, in particolare, una risoluzione ha affermato che: “The Assembly is deeply perturbed by the proceedings brought recently against the Milan public prosecutors themselves for breach of state secrecy. It regards such proceedings as intolerable impediments to the independence of justice”[3].

Anche il Parlamento europeo ha preso posizione sulla prassi delle “extraordinary renditions”, incaricando il relatore Fava di acclarare le dinamiche sottese al fenomeno e esprimendo riprovazione per la complicità di alcuni Stati europei, inclusa l’Italia, cui ha addebitato, proprio in relazione al caso “Abu Omar” la secretazione di documenti a copertura di alcune condotte criminose svolte in territorio italiano[4].

La prima sentenza della Corte europea relativa alle “extraordinary renditions” ha riguardato il caso “El-Masri”[5]. In quel caso, la Corte ha condannato la Macedonia per violazione degli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione europea in relazione alla cattura del sospettato El-Masri, poi rivelatosi innocente, e la sua prolungata detenzione segreta prima in Macedonia, poi in un balck-site afgano, accompagnata da interrogatori condotti con l’impiego della tortura.

Uno degli aspetti più significativi della sentenza “El-Masri”, anche per la sua connessione con il caso “Abu Omar”, ha riguardato l’enunciazione del diritto alla verità. La Corte ha infatti ricondotto l’esigenza di condurre indagini effettive non solo all’obbligo positivo di adottare ogni misura necessaria a prevenire e reprimere il compimento di atti di tortura ma anche al dovere di acclarare la verità, derivante anch’esso dall’art. 3 della Convenzione europea. La Corte ha valorizzato tanto la dimensione privata del diritto alla verità, come diritto delle vittime di accertare i fatti subiti e di conoscerne le relative responsabilità, quanto quella pubblica, legata all’esigenza di lottare contro l’impunità e di informare adeguatamente l’opinione pubblica. Secondo la Corte, ogniqualvolta le autorità nazionali omettono di svolgere indagini effettive, esse pregiudicano il diritto alla verità. In un obiter dictum, la Corte ha ricondotto a tale comportamento anche l’impiego distorto del segreto di Stato, affermando che “the concept of State secret has often been invoked to obstruct the search of the truth”[6]. Le conseguenze di tale affermazione sono state svolte proprio nella sentenza “Nasr e Ghali c. Italia”.

3. Il ricorso è stato presentato alla Corte europea da Abu Omar e dalla moglie, Nabila Ghani, nel 2009, per violazione degli articoli 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), 5 (diritto alla libertà e sicurezza), 6 (diritto all’equo processo), 8 (diritto alla vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione europea. Con la sentenza emessa lo scorso 23 23 febbraio, la Corte europea ha accolto il ricorso, accertando la violazione da parte dell’Italia degli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione europea, e condannato lo Stato italiano al risarcimento di 70.000 euro ad Abu Omar e di 15.000 euro alla moglie per le sofferenze fisiche e psicologiche patite.

Nella motivazione, la Corte ha affermato che le autorità italiane hanno proceduto alla “extraordinary rendition” in ottemperanza al programma della CIA, nonostante fossero a conoscenza dell’elevato rischio che il ricorrente sarebbe stato sottoposto ad atti di tortura e ad altre gravi violazioni della libertà e dell’incolumità personale. Inoltre, la Corte ha giudicato che l’Italia avesse ostacolato l’accertamento dei fatti e la punizione dei colpevoli, in violazione degli obblighi procedurali derivanti dagli articoli 3 e 13 della Convenzione europea. Tuttavia la Corte ha riconosciuto che, a differenza delle altre vicende di “extraordinary renditions” da essa accertate (casi El-Masri”, “Husayn” e “Al Nashiri”), in questo caso le autorità giudiziarie nazionali hanno manifestato particolare alacrità nella conduzione delle indagini e del processo[7]. La violazione è stata dunque ricondotta alla condotta di altri organi nazionali, in particolare, dei Governi che si sono succeduti all’epoca dei fatti (Prodi, Berlusconi, Monti e Letta) e della Corte costituzionale, per il modo in cui hanno - rispettivamente - invocato e interpretato il segreto di Stato, nonché del Ministro della giustizia Castelli, per il rifiuto di procedere alla richiesta di estradizione, e del Presidente della Repubblica Napolitano, per la concessione della grazia ad alcuni condannati.

Al riguardo, vale la pena rammentare che, il 23 dicembre scorso, meno di due mesi prima dell’emanazione della sentenza in nota, il Presidente della Repubblica Mattarella ha concesso la grazia ad altri due condannati per l’ “extraordinary rendition” di Abu Omar: Medero e Seldon Lady. Tra le motivazioni addotte nel comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica vi è la considerazione che gli Stati Uniti abbiano ormai interrotto la prassi delle “extraordinary renditions”, che la condannata Medero avesse avuto una pena di entità inferiore agli altri e che Seldon Lady meritasse un’attenuazione del trattamento sanzionatorio.

La Corte europea ha considerato che i diversi comportamenti delle autorità italiane fossero caratterizzati dalla finalità comune “d’empêcher les responsables de répondre de leurs actes”[8]. L’argomentazione è particolarmente rilevante per ciò che riguarda la secretazione dei documenti utilizzati nel processo, perché in sostanza contraddice la ricostruzione della Corte Costituzionale. Infatti quest’ultima, nella sentenza n. 24 del 2014, ha accolto l’esigenza di una interpretazione ampia dell’ambito oggettivo del segreto, precisando come l’unico limite sia la sua effettiva funzionalizzazione alla tutela della sicurezza dello Stato, circostanza che ha considerato indiscussa nel caso in questione. La Corte europea, invece, ha considerato che i documenti secretati contenessero informazioni ampiamente diffuse dalla stampa e da internet, da ritenere “du domaine public”, e che perciò non vi fosse alcuna esigenza di tutela del segreto[9].

La distanza tra la posizione della Corte Costituzionale e quella della Corte europea non concerne dunque la caratterizzazione giuridica dell’istituto del segreto di Stato e il suo bilanciamento con i diritti fondamentali della persona, o con altri interessi generali rilevanti nel caso di specie. La Corte europea ha in sostanza accertato uno “sviamento” dell’uso del segreto, il quale, invece di essere funzionalizzato alla tutela della sicurezza dello Stato, è stato invocato per coprire le responsabilità penali degli agenti del SISMI coinvolti. L’argomentazione della sentenza è piana e lineare e risulta, a maggior ragione, “disarmante”.  Essa non contraddice le argomentazioni svolte dai Governi e dalla Corte Costituzionale sulla natura e i limiti del segreto ma afferma che, di fatto, le istituzioni coinvolte nel caso “Abu Omar” hanno agito al solo fine di coprire le responsabilità penali dei responsabili, per ragioni di opportunità politica e a scapito dell’accertamento della verità.

Deborah Russo


 

Notizia n. 2: La recente ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo (Legge 16 novembre 2015, n. 199, in GU n. 293 del 17 dicembre 2015)

Lo scorso 18 dicembre 2015 è entrata in vigore la legge n. 199 del 2015 con la quale l’Italia ha ratificato e reso esecutivo il Protocollo opzionale alla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo (d’ora innanzi “Convenzione”), adottato dall’Assemblea Generale ONU nel 2011 ed entrato in vigore sul piano internazionale il 14 aprile 2014 al deposito del decimo strumento di ratifica.

Il Protocollo apporta innovazioni rilevanti per rafforzare l’effettività della tutela sancita dalla Convenzione. Questa, infatti, pur rappresentando il primo trattato dedicato alla protezione complessiva del minore, non ha previsto un sistema di controllo basato sulle comunicazioni individuali e interstatali. La Convenzione ha, infatti, istituito il Comitato sui diritti del fanciullo, organo composto da 18 esperti della materia indipendenti dagli Stati, e ha conferito ad esso soltanto la funzione di monitorare l’adempimento della Convenzione attraverso l’esame dei rapporti che gli Stati contraenti devono presentare periodicamente al fine di ricevere osservazioni, commenti e raccomandazioni.

Le competenze del Comitato sono state notevolmente ampliate dal Protocollo.

Le nuove procedure, innanzitutto, non riguardano soltanto il controllo sull’adempimento della Convenzione ma anche dei suoi due Protocolli opzionali relativi il primo alla vendita dei minori, la prostituzione minorile e la pedopornografia e l’altro al coinvolgimento dei minori nei conflitti armati. Tuttavia, il Comitato esercita la sua competenza nei confronti di uno Stato parte soltanto per violazioni dei diritti enunciati in uno strumento di cui tale Stato sia parte contraente (art. 1, comma 2, del Protocollo).

I meccanismi di controllo introdotti dal Protocollo sono di tre tipi: comunicazioni individuali (art. 5), comunicazioni interstatali (art. 12) e procedura di inchiesta per violazioni gravi e sistematiche (artt. 13).

In ogni caso le funzioni attribuite al Comitato dovranno essere esercitate nel rispetto dei due principi generali della tutela internazionale dei minori: il best interest of the child, che impone una prospettiva di parte nelle valutazioni che riguardano il fanciullo, e il diritto alla partecipazione del minore (in modo compatibile e proporzionale alla sua età e maturità) nella elaborazione delle decisioni che lo riguardano, il quale impone condizioni procedurali da precisare nel regolamento di procedura.

Le comunicazioni individuali possono provenire dal minore stesso (oppure da un gruppo di minori) che si consideri vittima di violazioni oppure da una persona che agisce “per suo conto” e con il suo consenso.

La particolare vulnerabilità del minore richiede specifiche cautele nell’esercizio delle funzioni del Comitato anche al fine di evitare che la sua persona venga manipolata o strumentalizzata dagli adulti.

In proposito l’art. 3, comma 2, del Protocollo prevede che il Comitato stabilisca nel proprio regolamento norme specifiche “per evitare che il minore sia manipolato da chi agisce per suo conto e può rifiutare di esaminare una comunicazione che considera non essere nell’interesse superiore del minore”. Questa disposizione evidenzia che il Comitato abbia il potere discrezionale di valutare quale sia il “best interest of the child” in una determinata situazione e presuppone che questa nozione abbia carattere oggettivo e non dipenda dalle opinioni soggettive dei genitori o di coloro che esercitino una funzione tutelare.

Un’ulteriore cautela è prevista dall’art. 4 che garantisce che l’identità delle persone coinvolte in un caso sottoposto al Comitato non sia rivelata al pubblico senza l’espresso consenso delle stesse. La disposizione impone inoltre un obbligo positivo sugli Stati interessati i quali sono tenuti ad adottare “tutte le misure necessarie” per assicurare che i soggetti che si trovino sotto la sua giurisdizione non siano sottoposti ad alcuna violazione dei diritti umani, violenza o intimidazione in conseguenza della presentazione di comunicazioni o della collaborazione col Comitato. In via generale, inoltre, il Comitato che abbia ricevuto una comunicazione può richiedere ad uno Stato interessato, ancor prima di decidere sul merito, l’adozione di “misure provvisorie” che si rivelino necessarie in una situazione eccezionale “al fine di evitare un eventuale danno irreparabile alla vittima o alle vittime delle asserite violazioni” (art. 6).

Durante i lavori preparatori era stata avanzata la proposta di introdurre anche un meccanismo di comunicazioni collettive da parte delle associazioni rappresentative degli interessi dei minori. Questa proposta, che pure era stata apprezzata dal Comitato e da alcuni Stati, alla fine non è stata accolta. Alle ONG risulta dunque precluso il ruolo di denuncia e di advocacy che esse avrebbero potuto esercitare presentando comunicazioni riguardanti discipline e politiche nazionali generali lesive degli interessi dei fanciulli, senza l’identificazione di violazioni specifiche.

La seconda procedura introdotta dal Protocollo concerne invece la possibilità di presentare comunicazioni interstatali con le quali uno Stato parte sostiene che un altro Stato parte abbia violato i diritti spettanti al minore. La sua operatività ha tuttavia carattere opzionale. Come prevede l’art. 12, comma 2, infatti, il Comitato non riceve le comunicazioni relative ad uno Stato parte o che provengono da uno Stato parte che non abbia effettuato la specifica accettazione della sua competenza. Questa procedura inoltre ha il carattere proprio dei mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali poiché è previsto che il Comitato metta a disposizione delle parti i propri buoni uffici al fine di facilitare una composizione amichevole della questione. Essa non ha dunque natura giudiziale ma tende a facilitare la conclusione di un accordo tra gli Stati.

Il Protocollo disciplina poi la procedura di inchiesta per violazioni gravi e sistematiche dei diritti del minore commesse da uno Stato parte. Essa non ha carattere opzionale ma è comunque caratterizzata dalla previsione di un meccanismo di opting out in base al quale ciascuno Stato parte può, al momento della firma o della ratifica o dell’adesione allo stesso, dichiarare di non riconoscere la relativa competenza del Comitato. Il meccanismo impone comunque che la scelta sia effettuata dagli Stati al momento in cui manifestano la volontà di partecipare al trattato ed esclude, pertanto, la sua applicazione in un momento successivo.

La procedura è attivata nel caso in cui il Comitato riceva informazioni attendibili sulla perpetrazione di violazioni gravi e sistematiche dei diritti del minore. Essa richiede un immediato coinvolgimento dello Stato interessato affinché questo possa collaborare con il Comitato nell’accertamento dei fatti e presentare le proprie osservazioni in merito. Tenendo conto delle informazioni raccolte, il Comitato può procedere a incaricare uno o più dei propri membri di svolgere un’inchiesta riservata (eventualmente anche in loco con il consenso dello Stato parte) e di riferire con urgenza sulle risultanze ottenute. Il Comitato eventualmente trasmette i risultati dell’inchiesta allo Stato interessato insieme ai commenti e alle raccomandazioni che ritenga opportuni. Lo Stato avrà poi 6 mesi di tempo per presentare le proprie osservazioni conclusive al Comitato. Conclusa la procedura, il Comitato potrà inserire, con il consenso dello Stato interessato, un resoconto dell’inchiesta nel rapporto sulla propria attività che presenta ogni due anni all’Assemblea Generale dell’ONU.

Il successo della procedura dipenderà essenzialmente dalla disponibilità dello Stato interessato a cooperare con il Comitato. È dunque difficile prevederne in astratto il grado di effettività. È certo, tuttavia, questa disciplina assegni un ruolo potenzialmente incisivo al Comitato, il quale potrebbe contribuire sia a far luce sulle violazioni, grazie anche alle segnalazioni e informazioni provenienti dalla società civile, sia a guidare lo Stato interessato a collaborare e a risolvere eventuali situazioni critiche.

Il Protocollo infine prevede, all’art. 17, che gli Stati parti si impegnino a diffondere la conoscenza circa le procedure da esso previste, agevolando l’accesso di adulti e bambini alla giurisprudenza del Comitato, con particolare riferimento alle questioni che riguardano lo Stato parte. Ciò dovrebbe richiedere anche l’attivazione di specifici canali di comunicazione e collaborazione tra il Comitato e gli eventuali organi che agiscono a livello nazionale per assicurare la tutela dei minori.

Per quanto riguarda l’Italia, la legge n. 199 non ha provveduto a istituire una disciplina di raccordo con la legge n. 112 del 12 luglio 2011 istitutiva dell’Autorità garante per l’infanzia. Questo intervento sarebbe stato invece opportuno, dato che tra le principali competenze dell’Autorità vi è proprio quella di “promuovere l’attuazione della Convenzione di New York” (art. 3, comma 1, lett. a) della Legge 112 del 2011). L’esecuzione del Protocollo avrebbe, peraltro, fornito l’occasione per apportare modifiche alla legge n. 112 utili a promuovere la conoscenza e a valorizzare le potenzialità di tutela offerte dalle nuove procedure di controllo in ottemperanza all’art. 17 del Protocollo.

Deborah Russo

 


Notizia n. 3: Sulla cooperazione tra Italia e Francia per la realizzazione di operazioni congiunte di polizia.

LEGGE 1 dicembre 2015, n. 215, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Ministro dell'interno della Repubblica italiana e il Ministro dell'interno della Repubblica francese in materia di cooperazione bilaterale per l'esecuzione di operazioni congiunte di polizia, fatto a Lione il 3 dicembre 2012. (15G00228).

Il Parlamento con legge n. 215 del 2015 ha autorizzato la ratifica e dato esecuzione all’accordo concluso nel 2012 a Lione tra il Ministero dell'interno della Repubblica italiana e il Ministero dell'interno della Repubblica francese.

Con tale accordo, che in forza di quanto previsto dall’articolo 13 ha durata di cinque anni rinnovabile per altri cinque, le Parti intendono promuovere iniziative bilaterali finalizzate al miglioramento della sicurezza interna dei rispettivi Stati, anche attraverso lo sviluppo di nuove modalità di cooperazione operativa tra forze di sicurezza interna delle Parti.

Inoltre, è obiettivo dell’accordo rafforzare la sicurezza nelle rispettive aree turistiche durante i periodi di alta affluenza e, in generale, in occasione di avvenimenti di grande richiamo.

Infine, con l’Accordo le Parti intendono facilitare la realizzazione di missioni di pubblica sicurezza e di assistenza ai cittadini dei rispettivi Paesi.

L’accordo stipulato tra i Ministeri dell’Interno dei due Paesi è coerente con la normativa europea in materia di cooperazione per l’esecuzione di operazioni di polizia. In particolare, l’Accordo rispetta quanto previsto dalla decisione del Consiglio dell'Unione europea del 2008 in materia di potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità (Decisione del Consiglio dell'Unione europea 2008/615/GAI del 23 giugno 2008), nonché dalla decisione del Consiglio dell'Unione europea 2008/616/GAI del 23 giugno 2008 relativa all'attuazione della Decisione 2008/615/GAI.

L’Accordo è inoltre coerente con le previsioni del Trattato di Prum del 2005, che l'Italia ha ratificato con legge 30 giugno 2009, n. 85, che attiene alla cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all'immigrazione irregolare.

Infine, l'Accordo è coerente con le previsioni di cui all'articolo 7 bis del Decreto Legge n. 93 del 2013 recante disposizioni in materia di sicurezza. Quest'ultima prevede infatti la possibilità che vengano disposte operazioni congiunte nell'ambito di accordi internazionali di polizia che disciplinano aspetti connessi allo svolgimento sui rispettivi territori nazionali di tali operazioni.  

All’articolo 1 dell’Accordo tra Italia e Francia vengono individuate le autorità competenti a dare applicazione a quanto previsto dall’accordo medesimo. Si tratta, per la Parte italiana, del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'interno e, per la Parte francese, della Direzione della Cooperazione Internazionale del Ministero dell'interno.

Oggetto dell’accordo, ai sensi dell’articolo 2, è la possibilità per le Parti di attivare pattugliamenti ed altre operazioni congiunte nelle quali gli agenti di uno Stato partecipano ad operazioni di polizia nel territorio dell'altro.

Successivamente alla individuazione delle autorità competenti e alla definizione dell’oggetto dell’Accordo, vengono definite le condizioni di esecuzione delle operazioni.  

In particolare, ai sensi dell’articolo 3, viene stabilito che gli agenti dello Stato di invio assistono gli agenti dello Stato di destinazione nell'esercizio delle funzioni di questi ultimi, soprattutto quando tali attività coinvolgono persone aventi cittadinanza degli agenti dello Stato di invio. In tali occasioni, gli agenti dello Stato di invio operano sotto il controllo e generalmente – ma non necessariamente - in presenza degli agenti dello Stato di destinazione.

Gli agenti dello Stato di invio che partecipano ai pattugliamenti e alle altre operazioni congiunte sono soggetti alle istruzioni dell'Autorità competente dello Stato di destinazione. La norma specifica che gli agenti dello Stato di invio, che partecipano a pattugliamenti ed operazioni congiunte nel territorio dello Stato di destinazione, possono indossare l'uniforme nazionale e portare armi, munizioni e attrezzature al cui uso siano autorizzati dalla legislazione dello Stato di invio, conformemente però alle condizioni concordate con l'Autorità competente dello Stato di destinazione. In ogni caso, l'uso delle armi è consentito solamente in caso di legittima difesa ed è comunque soggetto al rispetto del diritto dello Stato di destinazione.

Ai sensi dell’articolo 5, gli agenti dello Stato di invio, che nel corso di operazioni congiunte utilizzano veicoli nel territorio dello Stato di destinazione, sono soggetti alle norme di circolazione stradale che si applicano agli agenti dello Stato di destinazione.

L’articolo 6 stabilisce inoltre che ciascuna Parte è obbligata a prestare agli agenti dell'altra Parte, nell'esercizio della loro funzione, protezione e assistenza che riserva ai propri agenti. 

L’accordo disciplina poi i casi di responsabilità civile e penale per la condotta tenuta dagli agenti. L’articolo 7 si occupa della responsabilità civile originata dalla condotta degli agenti impegnati nelle operazioni. In particolare, quando gli agenti di una Parte operano nel territorio dello Stato dell'altra Parte, lo Stato inviante è responsabile dei danni causati dai propri agenti nell'adempimento del servizio, conformemente al diritto dello Stato della Parte nel cui territorio operano. A livello procedurale è però lo Stato della Parte nel cui territorio sono causati i danni a risarcire le vittime dell’eventuale danno. La Parte, i cui agenti hanno causato danni a terzi nel territorio dello Stato dell'altra Parte, rimborsa poi integralmente a quest'ultima le somme da essa corrisposte alle vittime o ai loro aventi diritto.

In materia di responsabilità penale, invece, l’articolo 8 dispone che gli agenti, che operano nel territorio dello Stato dell'altra Parte, sono equiparati agli agenti di quest'ultima in relazione ai reati che vengono perpetrati nei loro confronti o che essi commettono.

In materia alle norme che regolano il rapporto di lavoro, invece, gli agenti restano invece soggetti, ai sensi dell’articolo 9, alla normativa vigente nel proprio Stato. Ciò vale anche per la responsabilità disciplinare.

Infine, l’articolo 11 prevede che le operazioni congiunte previste dall’Accordo saranno organizzate di intesa tra le Autorità competenti attraverso specifici protocolli che definiranno con maggiore dettaglio le condizioni di svolgimento delle operazioni, i poteri attribuiti agli agenti e le condizioni di impiego di armi, munizioni e attrezzature. 

In materia di spese per le operazioni è infine previsto, ai sensi dell’articolo 12, che ogni Parte deve prevedere agevolazioni attraverso proprie strutture abitative e mense di servizio per gli agenti della Parte di invio e per l'intera durata del soggiorno. Le condizioni di vitto e alloggio verranno stabilite per ogni singola missione tra le Parti. Inoltre, la Parte d'invio sosterrà le spese di trasferimento dei propri agenti verso lo Stato di destinazione e si farà carico della retribuzione e delle indennità di missione dei propri agenti.

In sostanza, l’Accordo rafforza il quadro di cooperazione già strutturato tra Italia e Francia, affinando gli strumenti che necessitano di specifici profili operativi. Mediante tale Accordo le Parti auspicano di contrastare con maggiore efficacia la criminalità e, in questa particolare fase, anche di rafforzare il fronte comune contro la minaccia del terrorismo. Peraltro, lungo il confine tra Italia e Francia si trovano numerose località turistiche. In tali aree sarà dunque possibile attivare le operazioni di cui all’accordo e potrà essere tutelata con maggiore incisività la sicurezza per i cittadini.

Federico Gianassi

 


Notizia n. 4: Recente approvazione di leggi di ratifica ed esecuzione di accordi internazionali in materia di utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, di cooperazione nel settore della difesa e di contrasto alla criminalità organizzata.    

a) Cooperazione tra Italia e Stati Uniti nella esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico. LEGGE 16 novembre 2015, n. 197, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo quadro tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d’America per la cooperazione nell’esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici, fatto a Washington il 19 marzo 2013. (15G00214) 

Con legge 197 del 2015 il Parlamento ha autorizzato la ratifica e dato esecuzione all’accordo di cooperazione tra Italia e Stati Uniti in materia di esplorazione e di utilizzazione dello spazio extra-atmosferico. 
Con tale accordo, le Parti si prefiggono lo scopo di sviluppare programmi e progetti di cooperazione nell'esplorazione e nell’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico. Tali programmi possono essere realizzati attraverso l’utilizzo di satelliti e di piattaforme di ricerca spaziale, di strumenti scientifici a bordo di aerei, attraverso missioni di esplorazione umana. I programmi possono altresì essere realizzati attraverso razzi di sonda e voli di palloni scientifici, voli e campagne aeronautiche, comunicazioni spaziali, applicazioni terrestri e spaziali, strutture di terra per la ricerca e lo scambio di personale scientifico. Le Parti possono anche attivare workshop congiunti e simposi, attività di formazione e di divulgazione. 
Al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi posti dall’Accordo le Parti sono obbligate a trasferire beni e dati tecnici necessari all'adempimento delle rispettive responsabilità. Tuttavia, qualsiasi diritto relativo a innovazioni e opere sviluppato nell'ambito del presente Accordo solamente da una Parte, compresi i brevetti, è e resta di proprietà di tale Parte. 
Tra gli obblighi che le Parti si assumono occorre evidenziare che ciascuna di esse si impegna a facilitare, su richiesta dell'altra Parte, il rilascio dei permessi di sorvolo per aeromobili e palloni. Infine, in forza dell’accordo, sempre al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi di cooperazione, le Parti rinunciano reciprocamente ad azioni di responsabilità nei confronti dell’altra.  

 

B) Cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Cile e tra Italia e Montenegro.

LEGGE, 16 Novembre 2015, n. 200, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Cile sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 25 luglio 2014.

 LEGGE 16 novembre 2015, n. 213, Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro in materia di cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 14 settembre 2011. (15G00226).

Il Parlamento è recentemente intervenuto in due occasioni in materia di rafforzamento della cooperazione internazionale nel settore della difesa. In particolare, con legge 200 del 2015 Il Parlamento ha autorizzato la ratifica e dato esecuzione all’accordo di cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Cile.

La finalità dell’Accordo è promuovere, facilitare e sviluppare la cooperazione tra le Parti nel settore della Difesa. Ciò avverrà attraverso lo sviluppo e il rafforzamento delle relazioni tra i rispettivi Ministeri della difesa e tra le rispettive Forze armate (art. 1).

In particolare, le Parti si sono impegnati ad elaborare piani annuali o pluriennali di cooperazione bilaterale nel settore della Difesa, con i quali determinano linee guida, luoghi, date, numero dei partecipanti, nonché le modalità di attuazione delle attività di cooperazione (art. 2).

La cooperazione tra le Parti potrà includere la politica di sicurezza e di difesa, la ricerca e lo sviluppo, il supporto logistico e l’approvvigionamento di beni e servizi per la Difesa. Le attività di cooperazione potranno riguardare anche operazioni umanitarie e di mantenimento della pace, nonché la gestione del personale delle Forze armate e la loro organizzazione ed impiego. Inoltre, potranno essere avviate attività di cooperazione in relazione all'ambiente ed all'inquinamento provocato da attività militari, la formazione e l’addestramento in campo militare, la sanità militare, la storia militare, lo sport militare, lo sminamento umanitario, la cooperazione civile e militare in caso di calamità naturali, la sicurezza informatica, l’industria militare.

Ai sensi dell’articolo 3, la cooperazione tra le Parti in materia di Difesa potrà avvenire attraverso visite reciproche di delegazioni alle strutture e sui mezzi militari, scambio di esperienze tra esperti delle due Parti, incontri tra le Istituzioni della Difesa, scambio di relatori e di personale di formazione, nonché scambio di studenti provenienti da Istituzioni militari. La cooperazione potrà essere realizzata anche attraverso la partecipazione a corsi teorici e pratici, a corsi di orientamento, a seminari, conferenze, dibattiti e simposi organizzati presso organi civili e militari della Difesa. Inoltre, la cooperazione potrà avvenire mediante scambio nel campo degli eventi culturali e sportivi, supporto alle iniziative relative ai materiali ed ai servizi della difesa, trasferimento di tecnologie.

L’accordo, infine, prevede, all’articolo 5, che nei caso in cui i membri di una Parte provochino danni all’altra, durante o in relazione alla propria missione o esercitazione, la Parte, i cui membri hanno cagionato il danno, dovrà risarcire i danni causati secondo gli importi che le Parti definiranno di comune accordo. Nel caso in cui, invece, venga accertato che le Parti sono congiuntamente responsabili di perdite o di danni, le Parti concorreranno in solido a rimborsare tali perdite o danni.

Il Parlamento è ulteriormente intervenuto in materia di cooperazione internazionale nel settore della difesa con legge 213 del 2015. Con tale provvedimento il Parlamento ha autorizzato la ratifica e dato esecuzione ad un altro accordo in materia di cooperazione nella difesa. Si tratta dell’accordo tra Italia e Montenegro.

Tale accordo, all’articolo 3, prevede che la cooperazione tra le Parti abbia luogo in conformità con i trattati internazionali sulla difesa, sulla sicurezza e sul controllo degli armamenti. La cooperazione interessa le politiche di sicurezza e difesa, l’industria per la difesa, la politica degli approvvigionamenti che dipendono dai Ministeri della Difesa, lo scambio e il transito di materiali, le attrezzature militari, le operazioni umanitarie e di mantenimento della pace, la ricerca e lo sviluppo di armamenti e apparecchiature militari, le questioni relative alla polizia militare, le questioni relative all'ambiente e all'inquinamento provocato da attività miliari, la sanità militare, la storia militare, lo sport militare.

All’articolo 5 dell’Accordo è previsto che le Parti stabiliranno modalità di collaborazione nel settore degli armamenti e dello scambio di materiali, nel settore dell'industria di difesa e della politica degli approvvigionamenti, della ricerca e dello sviluppo degli armamenti e delle apparecchiature militari.

Ai sensi dell’articolo 8, in materia di giurisdizione, le Autorità del Paese ospitante avranno il diritto di esercitare la propria giurisdizione sul personale ospite per quanto riguarda le infrazioni commesse alla legislazione nazionale sul proprio territorio.

In alcuni casi, però, le Autorità del Paese d'origine potranno esercitare la giurisdizione sul proprio personale. In particolare, lo Stato di origine potrà esercitare la giurisdizione nel caso di infrazioni che minacciano la sicurezza o i beni del Paese d'origine o nel caso di infrazioni risultanti da atti o omissioni commesse intenzionalmente o per negligenza nell'esecuzione del servizio attivato in base al presente accordo.

All’articolo 9 dell’Accordo viene, infine, tutelata la riservatezza. In particolare, sono riservate le "informazioni classificate", cioè ogni elemento, documento o materiale classificato, indipendentemente dalla forma, la cui diffusione potrebbe danneggiare gli interessi di sicurezza delle Parti.

 

C) Cooperazione tra Italia e Kazakistan nel contrasto alla criminalità organizzata. LEGGE 7 dicembre 2015, n. 216. Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Kazakhstan di cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata, al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, di precursori e sostanze chimiche impiegate per la loro produzione, al terrorismo e ad altre forme di criminalità, fatto a Roma il 5 novembre 2009. (15G00229)

Con legge 216 del 2015 il Parlamento ha autorizzato la ratifica e dato esecuzione all’accordo tra Italia e Kazakistan in materia di contrasto alla criminalità organizzata. 

L’articolo 2 dell’Accordo individua i reati la cui prevenzione e repressione è oggetto di cooperazione tra le Parti. Si tratta di un elenco molto ampio. In particolare, rientra nell'ambito di applicazione dell’Accordo il traffico illecito di sostanze stupefacenti e di sostanze chimiche. Sono, però, oggetto dell’obbligo di cooperazione anche i reati riferibili ad attività economiche illecite (ad es. fabbricazione e diffusione di titoli, carte di credito, denaro e altri mezzi di pagamento falsificati), i reati di corruzione, il traffico di esseri umani, la falsificazione di documenti ufficiali, i reati contro la proprietà, la criminalità ambientale, il traffico illecito di armi da fuoco, di munizioni, di esplosivi, di materiali radioattivi, nucleari e tossici, di beni e di tecnologie di importanza strategica come pure di altri materiali impiegati per la produzione di armi di distruzione di massa, il traffico illecito di opere d'arte, i reati informatici e telematici. Viene inoltre stabilito agli articoli 7 e 8 che le Parti debbono cooperare nella prevenzione e repressione dei reati di terrorismo e di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

All’articolo 4 vengono definite le modalità di cooperazione che consistono nello scambio di informazioni sistematico, dettagliato ed immediato sulle varie forme di criminalità organizzata. Inoltre, le Parti debbono scambiarsi informazioni operative di reciproco interesse anche in relazione ad eventuali contatti tra associazioni e gruppi di criminalità organizzata nei Paesi di entrambe le Parti. Le Parti possono inoltre scambiarsi valutazioni di esperti ed esperienze e conoscenze tecniche relative alla sicurezza delle reti, esperienze e conoscenze tecniche relative alla sicurezza dei trasporti aerei, marittimi e ferroviari, anche allo scopo di migliorare gli standard di sicurezza adottati negli aeroporti, nei porti marittimi e nelle stazioni ferroviarie per la prevenzione di atti terroristici. Le Parti possono poi organizzare corsi di formazione comuni su specifiche tecniche investigative e operative e approfondire e condividere il contenuto di atti legislativi e di strumenti normativi, di pubblicazioni scientifiche e di attività formative sulla lotta contro la criminalità organizzata.

Infine, gli organismi competenti delle Parti, in conformità alle rispettive legislazioni nazionali e nell'ambito delle proprie competenze, forniscono assistenza reciproca nelle indagini sui crimini, sulla ricerca e sulla detenzione di persone sospettate di avere commesso un reato. 



[1] Sent. CEDU, 23 febbraio 2016, ric. n. 44883/09.
[2] Risoluzione sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di persone, P6TSA(2007)0032, par. 39.
[3] Ris. Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa n. 1507 del 2006 “Alleged secret detentions and unlawful inter-state transfer of detainees involving Council of Europe member states”, par. 14.
[4] Final Report on the alleged use of European Countries for the transportation and illegal detention of prisoners, 2006/2200 (INI), doc. A6-0020/2007 del 30 gennaio 2007.
[5] Sent. CEDU 13 dicembre 2012, ric. n. 39630/09.
[6] Ibidem, para. 191.
[7] Sent. CEDU, 23 febbraio 2016, cit., para. 243.
[8] Ibidem, para 272.
[9] Ibidem, para. 268.

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