La Corte e il … parametro incostituzionale
Sentenza n. 197/2015 – giudizio di costituzionalità in via principale
Deposito del 09/10/2015 - Pubblicazione in G. U. 14/10/2015 n. 41
Motivo della segnalazione
La Corte costituzionale si è trovata a decidere della costituzionalità della disciplina dettata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la L. 3 del 9 marzo 2012; più in particolare, sono stati sottoposti al vaglio del giudice delle leggi i primi due commi dell’art. 1 della legge regionale appena menzionata. La disposizione impugnata interviene in materia di autonomie locali, dettando norme sulla competenza regionale a proposito di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Al comma 1, essa stabilisce che – in conformità all’art. 4, primo comma, numero 1-bis dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (l. cost. 1/1963), e agli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 9/1997 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), al fine di valorizzare gli strumenti di autonomia normativa e le forme di rappresentanza delle comunità locali, perseguendo il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica – nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si applica, nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, la legislazione regionale in materia elettorale, sugli organi di governo e sulle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. Al comma 2 si aggiunge che, fino al recepimento nell’ordinamento regionale della riforma costituzionale appena ricordata, sono confermate le vigenti modalità di elezione, la formazione e la composizione degli organi di governo dei Comuni e delle Province del Friuli-Venezia Giulia, nonché le funzioni comunali e provinciali e le relative modalità di esercizio. Secondo la ricostruzione prospettata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al momento dell’impugnazione, la legge regionale avrebbe dettato una disciplina difforme rispetto a quanto previsto dal d.l. 201/2011 (conv. con modificazioni dalla l. 214/2011), contenente principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica; così facendo, quindi, la disciplina regionale sarebbe stata in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Il giudice delle leggi ha deciso per l’inammissibilità della questione.
Alla base della valutazione della Consulta il fatto che i commi da 14 a 20 dell’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, recanti proprio i succitati principi fondamentali, sono stati dichiarati incostituzionali per violazione dell’art. 77 della Costituzione (sent. 220/2013); ovvero, è stata dichiarata l’incostituzionalità di tutte le disposizioni evocate a parametro interposto. E proprio l’assenza di qualsiasi parametro sulla cui base giudicare la costituzionalità o meno delle disposizioni impugnate ha condotto – inevitabilmente – all’inammissibilità della questione. La Consulta ha altresì rilevato che l’inammissibilità non risente del fatto che, con la l n. 56/2014 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), “è stata introdotta una disciplina ispirata a principi organizzativi che potrebbero essere ritenuti analoghi a quelli che già caratterizzavano le disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, elevate a parametro interposto nel ricorso statale. A prescindere da qualunque indagine sull’effettiva corrispondenza tra le disposizioni sopravvenute e quelle originariamente indicate quali norme interposte, nessuna continuità normativa può sussistere tra le disposizioni del d.l. n. 201 del 2011 dichiarate costituzionalmente illegittime e quelle successive della legge n. 56 del 2014, poiché la declaratoria di illegittimità costituzionale delle prime ne ha comportato la rimozione con effetto ex tunc.” ” (considerato in diritto, 2.2). Non è neppure ipotizzabile un utilizzo della l. 56/2014 quale “parametro interposto sopravvenuto”: ciò – secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (sentt. n. 34 del 2012, n. 12 del 2007 e n. 274 del 2003) è possibile solo se le norme evocate a parametro interposto “siano state abrogate, nel corso del giudizio, e quindi trasfuse, in pendenza di questo, con contenuto sostanzialmente inalterato, in un successivo atto normativo”; nel caso di specie, invece, la dichiarazione di incostituzionalità ex sent. 220/2013 ha mutato radicalmente i termini della questione.