Sentenza n. 193/2016 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 20/07/2016 – Pubblicazione in G. U. 27/07/2016
Motivo della segnalazione
La Corte esclude in maniera perentoria che in materia di sanzioni amministrative esista un vincolo di natura convenzionale o costituzionale alla previsione generalizzata, da parte del legislatore, del principio della retroattività della legge successiva più favorevole.
L’occasione per questa precisazione le viene data dall’esame di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) sollevata dal Tribunale ordinario di Como con ordinanza emessa il 27 marzo 2015. La disposizione (secondo la quale «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione» e «Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati») era stata censurata nella parte in cui non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi. In particolare, secondo il giudice a quo un intervento additivo della Corte costituzionale sarebbe stato reso necessario dall’esigenza di rendere tale disciplina compatibile con l’art. 117, co.1, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e con l’art. 3 Cost., in quanto entrambi i parametri invocati avrebbero imposto l’applicazione del principio della retroattività della norma più favorevole alla generalità delle sanzioni amministrative. Non è di questo avviso la Corte costituzionale, che rigetta la questione sotto entrambi i profili.
In primo luogo, la decisione esclude la violazione dell’art. 117, co. 1 Cost., in quanto stabilisce che "non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative" (cons. n. 3.6).
La Corte giunge a questa conclusione dopo aver svolto un esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. In particolare, il rigetto deriva dalla constatazione che, se da un lato, in questa giurisprudenza, si afferma che «l’art. 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa» (così, in particolare, nella sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, espressamente richiamata, confermata dalle sentenze Morabito contro Italia, del 27 aprile 2010, e Mihai Toma contro Romania, del 24 gennaio 2012, anch’esse richiamate); tuttavia, dall’altro lato, “nell’affermare il principio della retroattività del trattamento sanzionatorio più mite – la giurisprudenza della Corte europea non ha mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale”. Di conseguenza, secondo la Corte costituzionale, “l’intervento additivo invocato dal rimettente risulta [...] travalicare l’obbligo convenzionale: esso è volto ad estendere la portata del principio della retroattività della lex mitior al complessivo sistema sanzionatorio amministrativo, finendo così per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione (qualificata “amministrativa” dal diritto interno) come “convenzionalmente penale”, alla luce dei cosiddetti criteri Engel (così denominati a partire dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi e costantemente ripresi dalle successive sentenze in argomento); criteri, peraltro, la cui applicazione, al di là di quello della qualificazione giuridica, sarebbe facilitata da ulteriori precisazioni da parte della Corte europea o dei singoli ordinamenti nazionali nell’ambito del margine di apprezzamento e di adeguamento che è loro rimesso”.
In secondo luogo, viene esclusa la violazione dell’art. 3 Cost., e in particolare il contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza: violazione la quale, secondo il giudice a quo, sarebbe stata determinata dal fatto che la disposizione impugnata, a differenza di altre fattispecie previste in leggi speciali ed in mancanza di motivi di interesse generale tali da giustificare il diverso trattamento, avrebbe comportato una ingiustificata deroga al principio generale di retroattività della norma successiva più favorevole.
Con riferimento a questo secondo profilo, la Corte costituzionale ricorda innanzitutto che la propria costante giurisprudenza "ha affermato che in materia di sanzioni amministrative non è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore ‒ nel rispetto del limite della ragionevolezza ‒ modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina (ordinanze n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002)". Quindi, ancora richiamando precedenti decisioni, si osserva che “quanto [...] al differente e più favorevole trattamento riservato dal legislatore ad alcune sanzioni, ad esempio a quelle tributarie e valutarie, esso trova fondamento nelle peculiarità che caratterizzano le rispettive materie e non si presta, conseguentemente, a trasformarsi da eccezione a regola (ordinanze n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002)”, per sottolineare che “tale impostazione risulta coerente non solo con il principio generale dell’irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi), ma anche con il divieto di applicazione analogica di norme di carattere eccezionale (art. 14 delle preleggi)” (cons. 4.2).
In definitiva, secondo la Corte "il limitato riconoscimento della retroattività in mitius, circoscritto ad alcuni settori dell’ordinamento, risponde [...] a scelte di politica legislativa in ordine all’efficacia dissuasiva della sanzione, modulate in funzione della natura degli interessi tutelati” e “tali scelte costituiscono espressione della discrezionalità del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per gli illeciti amministrativi e risultano quindi sindacabili da questa Corte solo laddove esse trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione" (cons. 4.4). Infine, ad ulteriore giustificazione del rigetto della questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. si rileva che: “un intervento come quello invocato dal rimettente, in quanto finalizzato alla generalizzata ed indiscriminata estensione del principio della lex mitior a tutto il sistema sanzionatorio amministrativo, risulta esorbitante dall’ambito della disciplina settoriale della quale il giudice a quo è chiamato a fare applicazione”; “inoltre, l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale sancirebbe il principio della retroattività della lex mitior per le sanzioni amministrative in maniera persino più ampia di quanto stabilito dall’art. 2 cod. pen., il quale fa salvo il limite del giudicato ed esclude dal proprio ambito di operatività le leggi eccezionali e temporanee”; “viene, in definitiva, sollecitata dal rimettente una nuova configurazione del complessivo trattamento sanzionatorio di tutti gli illeciti amministrativi, in un ambito in cui deve riconoscersi al legislatore un ampio margine di libera determinazione” (cons. n. 4.5).