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Causa C-165/16 – Il cittadino di uno Stato membro che ha acquisito anche la cittadinanza dello Stato membro dove risiede può avvalersi dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione (3/2017)

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 14 novembre 2017, Lounes, ECLI:EU:C:2017:862Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 14 novembre 2017, Lounes, ECLI:EU:C:2017:862

Nella sentenza che si segnala, la Grande Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto che il cittadino dell’Unione che ha esercitato la sua libertà di circolazione e soggiorno e ha acquisito, oltre alla cittadinanza dello Stato membro di origine, anche quella dello Stato membro ospitante ove si è stabilito e integrato, può avvalersi dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione, in particolare a quelli previsti dall’art. 21, par. 1 TFUE, anche nei confronti di uno di tali due Stati membri. Nel caso di specie, infatti, la Corte ha affermato che i diritti riconosciuti da tale disposizione ai cittadini degli Stati membri includono quello di condurre una normale vita familiare nello Stato membro ospitante, beneficiando della vicinanza dei loro familiari e che pertanto, deve essere riconosciuto un diritto di soggiorno derivato in favore del familiare, cittadino di Paese terzo, del cittadino dell’Unione.

 

Nella sentenza del 14 novembre 2017, la Grande Sezione della Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione se un cittadino dell’Unione, che ha esercitato i propri diritti di libera circolazione e soggiorno conformemente alla direttiva 2004/38/CE e che ha successivamente acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante, ove risiede, possa ancora avvalersi dei diritti e delle libertà conferiti dalla suddetta direttiva, in particolare del riconoscimento del diritto di soggiorno al coniuge, cittadino di Paese terzo. In linea di principio, infatti, non rientrano nell’ambito applicativo del diritto dell’Unione quelle situazioni “meramente interne”, ove il cittadino dell’Unione risieda nello Stato membro della propria cittadinanza e non abbia esercitato il diritto alla libera circolazione e soggiorno in un altro Stato membro. Tuttavia, nella sentenza Zambrano e nella successiva giurisprudenza1, la Corte ha ritenuto che, in determinate circostanze eccezionali, il solo fatto che la fattispecie riguardi un cittadino di uno Stato membro può chiamare in causa il diritto dell’Unione, anche nel caso in cui lo stesso non abbia mai esercitato il suo diritto alla libera circolazione e soggiorno. La Corte ha infatti affermato che “l’art. 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione” (sent. Zambrano, par. 42,).

Ma nel caso in cui il cittadino abbia la cittadinanza di due Stati membri e risieda sul territorio di uno dei due Stati? Può sorgere il dubbio se tale situazione rientri nell’ambito applicativo del diritto dell’Unione e di conseguenza, possa essere invocato il riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato in capo al familiare, cittadino di Paese terzo, del cittadino dell’Unione.

Nella sentenza McCarthy del 5 maggio 2011, la Corte ha cercato di fornire una prima risposta al quesito. Essa infatti si è pronunciata in riferimento ad una fattispecie in cui la richiesta di riconoscimento del diritto di soggiorno del familiare, cittadino di Paese terzo, proveniva da una cittadina avente la doppia cittadinanza, inglese e irlandese, la quale aveva sempre vissuto nel Regno Unito senza mai spostarsi. Il giudice dell’Unione ha ritenuto che tale fattispecie non rientrasse nell’ambito applicativo del diritto dell’Unione. Infatti, in primo luogo, “il cittadino dell’Unione interessato, non avendo mai esercitato il proprio diritto di libera circolazione ed avendo sempre soggiornato in uno Stato membro del quale possiede la cittadinanza” (par. 39, ibid.), non ricadeva nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38, con la conseguenza che questa non era applicabile nei suoi confronti. La Corte ha inoltre ritenuto priva di rilievo la circostanza che “il cittadino suddetto possiede anche la cittadinanza di uno Stato membro diverso da quello nel quale egli soggiorna” (par. 40, ibid.), in quanto “la circostanza che un cittadino dell’Unione abbia la cittadinanza di uno Stato membro non significa per questo che egli abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione” (par. 41 ibid). In secondo luogo, la Corte ha ugualmente escluso che il cittadino dell’Unione interessato potesse avvalersi dei diritti afferenti allo status di cittadino dell’Unione, in quanto nessun elemento relativo alla sua situazione “mostra che la misura nazionale in questione nella causa principale produca l’effetto di privar[lo] del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti correlati al suo status di cittadin[o] dell’Unione ovvero l’effetto di ostacolare l’esercizio del suo diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ai sensi dell’art. 21 TFUE” (par. 49, ibid.).

Tuttavia, è solo con la sentenza Lounes, che la Corte di giustizia, facendo riferimento alla giurisprudenza McCarthy, ha chiarito se un cittadino dell’Unione - che ha esercitato il suo diritto di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro, di cui successivamente ha acquisito la cittadinanza e ove risiede – possa comunque ancora avvalersi dei diritti e delle libertà derivanti dall’aver esercitato tale diritto, in particolare del riconoscimento del diritto di soggiorno al coniuge, cittadino di Paese terzo. Il caso di specie riguardava infatti una cittadina spagnola, la sig.ra Ormazábal, la quale si era recata nel Regno Unito per proseguire i propri studi e dove, successivamente, aveva trovato un lavoro e si era stabilmente integrata. Dopo più di dieci anni di residenza, la sig.ra Ormazábal aveva acquisito la cittadinanza britannica per naturalizzazione e si era vista rilasciare un passaporto britannico, conservando al contempo anche la sua cittadinanza spagnola. Dopo qualche anno, la sig.ra Ormazábal aveva contratto matrimonio con il sig. Lounes, di cittadinanza algerina, che, al momento della loro unione, non aveva alcun titolo per soggiornare regolarmente sul territorio britannico. Il sig. Lounes aveva quindi richiesto al Ministero dell’Interno del Regno Unito il rilascio della carta di soggiorno in qualità di familiare di un cittadino del SEE (Spazio economico europeo), in forza del regolamento inglese di recepimento della direttiva 2004/38.

Tuttavia, a seguito di tale richiesta, l’amministrazione aveva notificato al cittadino algerino un avviso, accompagnato da una decisione di allontanamento dal Regno Unito, con la motivazione che aveva superato la durata del soggiorno autorizzato in tale Stato membro in violazione dei controlli in materia di immigrazione. Inoltre, il Ministero dell’Interno comunicava allo stesso la sua decisione di respingere la domanda di carta di soggiorno in quanto, in seguito alla modifica del regolamento nazionale intervenuta in seguito alla sentenza McCarthy, la sig.ra Ormazábal non era più considerata una “<cittadin[a] del="" see="">, in quanto aveva acquisito la cittadinanza britannica il 12 agosto 2009, e ciò nonostante avesse conservato anche la cittadinanza spagnola” (par. 19). Essa pertanto “non beneficiava più dei diritti conferiti nel Regno Unito da detto regolamento, nonché dalla direttiva 2004/38” (ibid par. 19) e il “sig. Lounes, dunque, non poteva richiedere una carta di soggiorno in qualità di familiare di un cittadino del SEE ai sensi di detto regolamento” (ibid. par. 19).

Il cittadino algerino aveva quindi presentato ricorso avanti al High Court of Justice (Alta Corte di giustizia), che rivolgeva una questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, chiedendo in sostanza se una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia esercitato la propria libertà di circolazione recandosi e soggiornando in uno Stato membro diverso, di cui abbia successivamente acquisito la cittadinanza, conservando al contempo anche la propria, e abbia contratto matrimonio con un cittadino di Paese terzo, rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, in modo tale che il cittadino dell’Unione possa invocare il diritto del familiare a soggiornare nello Stato membro di residenza.

Il ragionamento della Corte è articolato in due parti, volte a verificare se tale situazione rientri nell’ambito applicativo della direttiva 2004/38 o, in caso contrario, possa comunque trovare applicazione l’art. 21 par. 1 TFUE, che conferisce ad ogni cittadino dell’Unione il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e dal quale, secondo la Corte può trarsi un diritto di soggiorno derivato in favore del familiare, cittadino di Paese terzo.

In relazione alla prima ipotesi, la Corte, richiamando una costante giurisprudenza, ha sottolineato che “la direttiva 2004/38 mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21 paragrafo 1 TFUE ed a rafforzare tale diritto” (par. 31). Inoltre, “detto diritto presuppone, perché possa essere esercitato in oggettive condizioni di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari di tali cittadini, qualunque sia la loro cittadinanza” (ibid. par. 31); diritto che, tuttavia, non è autonomo, ma derivato da quello di cui gode il cittadino dell’Unione a seguito dell’esercizio della sua libertà di circolazione.

Secondo la Corte, quindi, “da un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica delle disposizioni della direttiva 2004/38 risulta che quest’ultima disciplina unicamente le condizioni di ingresso e di soggiorno di un cittadino dell’Unione negli Stati membri diversi da quello di cui egli ha la cittadinanza e che non consente di fondare un diritto di soggiorno derivato a favore dei cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza” (par. 33). Per la Corte, infatti, rientrano nell’ambito applicativo della direttiva i cittadini che si recano o soggiornano in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza (par. 34); inoltre, le disposizioni della direttiva mirano a disciplinare il diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione e il diritto di soggiorno derivato dei suoi familiari o “in un altro Stato membro” o nello “Stato membro ospitante” (par. 35) e hanno ad oggetto le modalità di esercizio di tale diritto alla libera circolazione e soggiorno (par. 36).

Per i motivi illustrati, “detta direttiva non è volta a disciplinare il soggiorno di un cittadino dell’Unione nello Stato membro del quale possiede la cittadinanza” (par. 37). Di conseguenza, “la direttiva non è nemmeno volta a conferire, nel territorio del medesimo Stato membro, un diritto di soggiorno derivato ai familiari di tale cittadino, che siano cittadini di uno Stato terzo” (ibid. par. 37).

Nella fattispecie oggetto di esame, la Corte parte dalla constatazione che l’acquisizione della cittadinanza britannica da parte della sig.ra Garcia Ormazábal ha determinato per la stessa “un cambiamento di regime giuridico alla luce sia del diritto nazionale che di detta direttiva” (par. 39). Secondo la Corte, “ne consegue che, da quando ha acquisito la cittadinanza britannica, da un lato, la sig.ra Ormazábal non soddisfa più la definizione della nozione di ” (par. 41) prevista nella direttiva; dall’altro lato, “detta direttiva non può più disciplinare il suo soggiorno nel Regno Unito” (ibid. par. 41), poiché, avendo ormai acquisito la cittadinanza britannica, esso è divenuto incondizionato, conformemente ad un principio di diritto internazionale2.

Alla luce di tali aspetti, “occorre ritenere che la direttiva 2004/38 non sia più applicabile alla situazione della sig.ra Ormazábal da quando quest’ultima è stata naturalizzata nel Regno Unito” (par. 42), a nulla rilevando la circostanza che essa abbia esercitato la propria libertà di circolazione recandosi e soggiornando nel Regno Unito e abbia conservato la propria cittadinanza spagnola. Infatti, “malgrado tale doppia circostanza, rimane il fatto che la sig.ra Ormazábal non soggiorna più in uno < Stato diverso da quello di cui ha la cittadinanza >” (par. 43) ai sensi della direttiva e non rientra pertanto più nell’ambito applicativo di quest’ultima. Pertanto, secondo la Corte, neanche il coniuge, cittadino di Paese terzo, potrà beneficiare di un diritto di soggiorno derivato nel Regno Unito, sulla base della medesima direttiva.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi, la Corte ha valutato se la giurisprudenza Zambrano potesse essere applicata al caso di specie, in modo da determinare se un diritto di soggiorno derivato in capo al familiare, cittadino di Paese terzo, potesse essere desunto dalle disposizioni del TFUE sulla cittadinanza dell’Unione, in particolare dall’art. 21 par. 1 TFUE.

La Corte, richiamando la sua giurisprudenza, ha ribadito che “un diritto di soggiorno derivato in favore di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, esiste, in linea di principio, solo quando è necessario per assicurare l’effettivo esercizio da parte di tale cittadino della sua libertà di circolazione” (par. 48). Infatti, “negarne il riconoscimento pregiudicherebbe, in particolare, tale libertà, nonché l’esercizio e l’effetto utile dei diritti che al cittadino dell’Unione considerato derivano dall’articolo 21 paragrafo 1 TFUE” (par. 48).

Nel caso di specie, la Corte, in primo luogo, ha escluso che la situazione di un cittadino dell’Unione, quale la sig.ra Ormazábal, “che ha esercitato la propria libertà di circolazione recandosi e soggiornando legalmente nel territorio di un altro Stato membro” (par. 49), abbia una rilevanza puramente interna. La sig.ra Ormazábal pertanto, “che è cittadina di due Stati membri ed ha, nella sua qualità di cittadina dell’Unione, esercitato la propria libertà di circolare e soggiornare in uno Stato membro diverso dal suo Stato membro d’origine, può avvalersi dei diritti connessi a tale qualità, in particolare a quelli previsti dall’articolo 21, paragrafo 1 TFUE, anche nei confronti di uno di tali due Stati membri” (par. 51). Inoltre, “i diritti riconosciuti da tale disposizione ai cittadini degli Stati membri includono quello di condurre una normale vita familiare nello Stato membro ospitante, beneficiando della vicinanza dei loro familiari” (par. 52). Quindi “la circostanza che un cittadino di uno Stato membro, che si è recato e soggiorna in un altro Stato membro, acquisisca, successivamente, la cittadinanza di tale ultimo Stato membro in aggiunta alla propria cittadinanza d’origine non può comportare che egli sia privato di tale diritto, salvo compromettere l’effetto utile dell’articolo 21 paragrafo 1 TFUE” (par. 53).

Secondo la Corte, una soluzione contraria a quella prospettata “porterebbe a trattare tale cittadino allo stesso modo di un cittadino dello Stato membro ospitante che non abbia mai lasciato quest’ultimo” (par. 54), senza quindi tenere conto della circostanza che il cittadino dell’Unione ha esercitato la propria libertà di circolazione e che ha inoltre conservato la propria cittadinanza d’origine. Uno Stato membro infatti “non può limitare gli effetti derivanti dal possesso della cittadinanza di un altro Stato membro, in particolare, i diritti ad essa collegati in forza del diritto dell’Unione, e che risultano dall’esercizio, da parte del cittadino, della propria libertà di circolazione” (par. 55).

Inoltre, “i diritti conferiti ad un cittadino dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1 TFUE, compresi i diritti derivati di cui godono i suoi familiari, sono volti, in particolare, a favorire la progressiva integrazione del cittadino dell’Unione interessato nella società dello Stato membro ospitante” (par. 56). Infatti, secondo la Corte, il cittadino dell’Unione che esercita la sua libertà di circolazione e acquisisce la cittadinanza dello Stato membro ospitante “tende ad integrarsi stabilmente nella società di detto Stato” (par. 57). Pertanto, “ritenere che tale cittadino, cui sono stati riconosciuti diritti in forza dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE per aver esercitato la propria libertà di circolazione, debba rinunciare al beneficio di tali diritti, in particolare di quello di condurre una vita familiare nello Stato membro ospitante, per il motivo che ha ricercato, mediante la naturalizzazione in tale Stato membro, un inserimento più approfondito nella società di quest’ultimo, sarebbe contrario alla logica integrazione progressiva che tale disposizione favorisce” (par. 58).

Un’altra conseguenza che ne deriverebbe, secondo la Corte, è che tale cittadino dell’Unione sarebbe trattato in modo meno favorevole rispetto ad un cittadino dell’Unione che abbia anch’esso esercitato la libertà di circolazione e soggiorno ma che possieda soltanto la propria cittadinanza d’origine. In tal modo, “i diritti conferiti ad un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante, in particolare quello di condurre una vita familiare con un cittadino di uno Stato terzo, diminuirebbero a seconda del suo inserimento nella società di tale Stato membro ed in funzione del numero di cittadinanze di cui è in possesso” (par. 59).

Pertanto, secondo la Corte, l’effetto utile dei diritti conferiti ai cittadini dell’Unione dall’art. 21 par. 1 TFUE richiede che un cittadino che abbia esercitato la sua libertà di circolazione e soggiorno “possa continuare a godere, nello Stato membro ospitante, dei diritti derivanti da detta disposizione, dopo aver acquisito la cittadinanza di tale Stato membro in aggiunta alla propria cittadinanza d’origine e, in particolare, possa sviluppare una vita familiare con il proprio coniuge cittadino di uno Stato terzo, mediante il riconoscimento a quest’ultimo di un diritto di soggiorno derivato” (par. 60).

Inoltre, per quanto riguarda “le condizioni di concessione di tale diritto di soggiorno derivato, queste non devono essere più rigorose di quelle previste dalla direttiva 2004/38 per la concessione di tale diritto di soggiorno ad un cittadino di uno Stato terzo familiare di un cittadino dell’Unione che ha esercitato il proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza” (par. 61). Secondo la Corte, infatti, sebbene la fattispecie oggetto della pronuncia non rientri nell’ambito applicativo della direttiva, comunque “essa deve essere applicata per analogia a tale situazione” (ibid. par. 61).


1 Per la giurisprudenza successiva, si vedano, tra le altre, sent. 15 novembre 2011., Dereci e a., causa C-256/11, EU:C:2011:734; sent. 8 maggio 2013, Ymeraga, causa C-87/12, EU:C:2013:291 ; sent. 13 settembre 2016, CS, causa C-304/14, EU:C:2016:674; sent. 13 settembre 2016, Rendón Marin, causa C-165/14, EU:C:2016:675 ; sent. 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez, causa C-133/15, EU:C:2017:354.

2 In base al quale, uno Stato membro non può negare ai propri cittadini il diritto di fare ingresso nel suo territorio e soggiornarvi e pertanto questi ultimi ivi godono di un diritto di soggiorno incondizionato.

 

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