Nella sentenza del 18 ottobre 2017, la Corte di giustizia ha stabilito che una normativa nazionale che subordina l’ammissione dei candidati al concorso per l’arruolamento alla scuola di polizia, indipendentemente dal sesso di appartenenza, ad uno stesso requisito di statura minima, costituisce una discriminazione indiretta qualora tale normativa svantaggi un numero molto più elevato di persone di sesso femminile rispetto alle persone di sesso maschile e non risulti idonea e necessaria per conseguire il legittimo obiettivo di assicurare il carattere operativo e il buon funzionamento dei servizi di polizia.
Nella sentenza Kalliri, la Corte di giustizia, nel valutare se una normativa nazionale - che prevedeva come criterio di selezione per poter partecipare ad un concorso di polizia un requisito di altezza minima - costituiva una discriminazione indiretta vietata dal diritto dell’Unione, ha avuto modo di chiarire quando tale normativa possa considerarsi giustificata dal perseguimento di una finalità legittima, attraverso mezzi appropriati e necessari.
Nel caso di specie, una cittadina greca, la sig.ra Kalliri, aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per l’arruolamento di allievi nelle scuole per ufficiali e agenti di polizia per l’anno 2007-2008. Il bando riprendeva una disposizione nazionale in base alla quale, tra le condizioni per poter accedere alla selezione, era necessario che tutti i candidati, sia di sesso femminile sia di sesso maschile, possedessero un’altezza minima pari a m. 1,70 senza scarpe.
L’amministrazione aveva negato la partecipazione al concorso alla sig.ra Kalliri, in quanto essa non possedeva la statura minima richiesta. Ritenendo che tale rifiuto violasse il principio della parità dei sessi, sancito dalla Costituzione greca, la sig.ra Kalliri aveva proposto ricorso dinanzi al Dioikitiko Efeteio Athinon (Corte amministrativa d’appello di Atene, Grecia), che lo aveva accolto, annullando la decisione (par. 12).
L’Ypourgos Esoterikon (Ministro degli Interni greco) e l’Ypourgos Ethnikis paideias kai Thriskevmaton (Ministero della Pubblica istruzione e dei Culti religiosi greco) avevano quindi presentato ricorso innanzi al Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato greco), il quale decideva di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte di giustizia una questione in via pregiudiziale, al fine di chiarire se il diritto dell’Unione ostasse ad una normativa nazionale quale quella greca in questione, che subordinava l’ammissione dei candidati al concorso per l’arruolamento alla scuola di polizia greca, indipendentemente dal sesso di appartenenza, al requisito di una statura minima (parr. 13-14).
In via preliminare, la Corte di giustizia ha verificato se la questione rientrasse, ratione temporis e ratione materiae, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Riguardo al primo aspetto, la Corte ha rilevato che la direttiva 2006/54 , riguardante l’attuazione delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ha abrogato la direttiva 76/207 con effetto dal 15 agosto 2009, ovvero successivamente all’adozione degli atti amministrativi con i quali era stata negata la partecipazione della sig.ra Kalliri al concorso. Pertanto, “le disposizioni applicabili, ratione temporis, ai fatti della controversia principale, non sono quelle della direttiva 2006/54, bensì quelle della direttiva 76/207” (par. 20).
Per quanto concerne invece l’ambito di applicazione materiale, lo scopo della direttiva 76/207 “è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso alla formazione professionale” (par. 21). Pertanto, secondo la Corte, tale direttiva “vieta qualsivoglia discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione” (par. 22). La Corte ha quindi ritenuto che una normativa nazionale - che prevede come criterio di selezione un requisito di altezza minima – va ad incidere sulle condizioni di assunzione e, di conseguenza, “deve ritenersi che fissi norme in materia di condizioni di assunzione nel settore pubblico” ai sensi della direttiva 76/207 (par. 25). Di conseguenza, la questione sottoposta alla Corte ricadeva nell’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione (par. 26).
Successivamente, la Corte ha preso in esame se la normativa nazionale in questione potesse costituire una discriminazione vietata dal diritto dell’Unione, valutando, in prima battuta, se integrasse gli estremi di una discriminazione diretta. La Corte ha però escluso tale ipotesi, in quanto “questa normativa tratt[a] in modo identico, indipendentemente dal sesso di appartenenza, le persone che presentino la loro candidatura al concorso per arruolamento alla scuola di polizia” (par. 28) e “conseguentemente non instaura una discriminazione diretta” (par.29).
Il giudice dell’Unione ha quindi valutato se la normativa potesse invece costituire una discriminazione indiretta: questa, secondo una costante giurisprudenza della Corte, sussiste “quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini” (par. 31). La Corte, a questo proposito, ha sottolineato come già il giudice del rinvio avesse rilevato “che sono molte più le donne degli uomini che misurano meno di m. 1,70” (par. 32) e che “in applicazione di questa normativa, le donne sarebbero nettamente svantaggiate rispetto agli uomini per quanto riguarda l’ammissione al concorso per l’arruolamento alle scuole per agenti e per ufficiali della polizia greca” (ibid. par. 32). Secondo la Corte, quindi, la normativa greca andava ad integrare una discriminazione indiretta.
Tuttavia, una differenza di trattamento, come quella posta in essere dalla normativa greca, può non costituire una discriminazione indiretta vietata dal diritto dell’Unione, qualora riempia due condizioni cumulative: “se è oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento sono appropriati e necessari” (par. 33).
In primo luogo, la Corte ha ritenuto che tale normativa nazionale avesse lo scopo di “consentire lo svolgimento effettivo del compito della polizia greca e che il possesso di talune attitudini fisiche particolari, come una statura minima, costituisce un requisito necessario e appropriato per conseguire tale scopo” (par. 35). Pertanto, come da costante giurisprudenza, la Corte ha ritenuto che “l’intento di assicurare il carattere operativo e il buon funzionamento dei servizi di polizia costituisce una finalità legittima” (par. 36).
La Corte ha quindi preso in considerazione se il requisito di statura minima “sia idoneo per garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito da detta normativa e non vada oltre quanto necessario al suo conseguimento” (par. 37). Per quanto riguarda i “mezzi appropriati”, la Corte ha escluso che l’obbligo di integrare un requisito di altezza minima possa essere considerato un mezzo idoneo a conseguire il carattere operativo e il buon funzionamento dei servizi di polizia. Essa ha infatti rilevato che se da un lato, “l’esercizio di funzioni di polizia attinenti alla protezione di persone e beni, alla detenzione e custodia degli autori di atti criminosi nonché al pattugliamento a scopo preventivo possono esigere l’utilizzo della forza fisica e presupporre un’idoneità fisica particolare” (par. 38), dall’altro lato, “alcune funzioni di polizia, quali l’assistenza ai cittadini o la regolazione del traffico stradale, non richiedono apparentemente un ragguardevole impegno fisico” (ibid. par. 38). Inoltre, secondo la Corte, “non sembra che una siffatta idoneità sia necessariamente connessa al possesso di una statura minima e che le persone di statura inferiore ne siano naturalmente mancanti” (par. 39). A conferma di tale ricostruzione, la Corte ha infatti portato ad esempio casi in cui la normativa greca, anche in relazione ad altri corpi armati, aveva previsto un requisito di statura differente per gli uomini e per le donne.
In relazione al carattere necessario dei mezzi impiegati per il conseguimento della finalità legittima, secondo la Corte, “l’obiettivo perseguito dalla normativa oggetto del procedimento principale potrebbe essere conseguito con misure meno svantaggiose per le donne, quali una preselezione dei candidati al concorso per l’arruolamento alla scuola per agenti e per ufficiali della polizia fondata su prove specifiche che consentano di verificare le loro capacità fisiche” (par. 42).
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che la normativa greca non fosse giustificata dal perseguimento, attraverso mezzi appropriati e necessari, di una finalità legittima e integrasse le condizioni, che spetta al giudice nazionale verificare, di una discriminazione indiretta vietata dal diritto dell’Unione.