TAR EMILIA-ROMAGNA, Bologna, 14 marzo 2018, n. 239
Oggetto della domanda di annullamento è l'ordinanza del sindaco del Comune di San Felice sul Panaro con la quale è stata disposta la chiusura dell'esercizio gestito dalla ricorrente, denominato "Il Baretto", "entro e non oltre le ore 23,00" di ogni giorno.
Il provvedimento, emanato ai sensi dell'art. 54, comma 6, del d.lgs. n. 267 del 2000, muove dall'inoltro di taluni esposti da parte di cittadini residenti nella zona inerenti al presunto "intollerabile disturbo della quiete pubblica causato dagli avventori abituali dell'esercizio pubblico di cui la sig.ra Or. è titolare". Ritiene il Tar, in linea con la giurisprudenza formatasi in vicende analoghe, che "gli schiamazzi degli avventori di un esercizio pubblico possono essere un elemento in base al quale il Sindaco adotta un'ordinanza di necessità, allorché il disagio provocato agli abitanti del posto raggiunge un grado di intollerabilità, oggettivamente accertato, tale da assurgere a una forma di vero e proprio inquinamento acustico con danno alla salute delle persone; in siffatta situazione, qualora, cioè, si raggiunga tale stato di emergenza, deve riconoscersi al Sindaco il potere di intervenire con i mezzi eccezionali che l'ordinamento pone a sua disposizione con l'art. 38, comma 2-bis, introdotto dall'art. 11, l. 3 agosto 1999 n. 265 (oggi trasfuso nell'art. 54, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267), che lo facoltizza a modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici per fronteggiare l'inquinamento acustico" (Consiglio di Stato sez. V, 25 agosto 2008 n. 4041)".
Nella specie, l'esistenza di una situazione di emergenza è testimoniata dalla documentazione versata in atti dalla parte pubblica inerente agli esposti trasmessi dai residenti e, quindi, il provvedimento sindacale si rivela fondato sui presupposti stabiliti dalla previsione di cui all'art. 54, comma 6, d.lgs. n. 267 del 2000, dovendosi in tal senso disattendere le diverse considerazioni della ricorrente secondo cui nessuna Forza di Polizia avrebbe accertato specifiche violazioni della quiete pubblica: sul punto è sufficiente ricordare che le denunce dei residenti sono state citate nell'atto di diffida emesso anteriormente all'ordinanza di riduzione dell'orario.
Sotto tale profilo correttamente l'ordinanza è stata adottata dal Sindaco, unico organo chiamato all'adozione dei provvedimenti ex art. 54 d. lgs. n. 267 del 2000.
Fondata è invece la censura con la quale si lamenta l'assenza di un limite temporale di efficacia dell'ordinanza la quale è stata espressamente emanata nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 54 comma 6 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Sul punto va preliminarmente evidenziato che - allo stato della disciplina vigente ratione temporis - al Sindaco era affidato un doppio potere di determinazione degli orari degli uffici commerciali. In primo luogo quello discendente dal comma 7 dell'art. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000 a mente del quale rientra nelle esclusive competenze del sindaco il coordinamento e la riorganizzazione, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, degli "[...] orari degli esercizi commerciali, dei pubblici servizi e dei servizi pubblici [...]". Quanto ai provvedimenti contingibili ed urgenti, il potere del sindaco di modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici "in casi di emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell'utenza o per motivi di sicurezza urbana" è stabilito dal sesto comma dell'art. 54 d.lgs. n. 267 del 2000, casi nei quali "egli agisce, [...] in qualità di ufficiale di governo, emanando ordinanze contingibili ed urgenti" (Cons. St. n. 5276 del 2013).
Precisato il carattere emergenziale del provvedimento, espressione di un potere atipico, il cui esercizio è consentito solo allorché sussista un pericolo attuale per l'incolumità pubblica, cioè una situazione di eccezionalità tale da rendere indispensabili ed improcrastinabili interventi urgenti ed extra ordinem, consistenti nell'imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico del privato (Cons. St. cit.), è indubbio che esso, per la sua natura, non poteva che avere effetti limitati al periodo necessario. La Corte costituzionale con sentenza n. 115 del 2011 ha, invero, distinto le c.d. ordinanze sindacali "ordinarie" ed i provvedimenti che si fondino sul presupposto dell'urgenza: in relazione a questi ultimi ha infatti precisato, "con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se "temporalmente delimitate" (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della "concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare" (sentenza n. 4 del 1977)".