Nel periodo agosto - novembre 2018 si segnala la seguente pronuncia:
Corte costituzionale, sentenza 22 novembre 2018, n. 210
La sentenza è stata pronunciata nel giudizio in via principale sollevato dal Consiglio dei ministri nei confronti dell’art. 1 della legge reg. Trentino-Alto Adige 31 ottobre 2017, n. 8 recante “Istituzione del nuovo Comune di Sèn Jan di Fassa – Sèn Jan mediante la fusione dei comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich”. Il ricorrente censurava il contrasto tra la denominazione del nuovo comune, espressa soltanto in lingua ladina, anziché congiuntamente in lingua italiana e ladina, con l’art. 99 dello Statuto di autonomia, in base al quale la lingua ufficiale dello Stato è quella italiana, nonché con gli artt. 5 e 6 Cost. che osterebbero “a previsioni discriminatorie della maggioranza linguistica italiana” e all’utilizzo di denominazioni toponomastiche espresse unicamente nell’idioma locale.
La Corte ha dichiarato fondata la questione rilevando un contrasto tra la previsione della legge regionale e l’art. 99 dello Statuto. La declaratoria di incostituzionalità muove da una complessiva ricostruzione dello status della lingua italiana nel sistema costituzionale: pur in assenza di una espressa previsione costituzionale la Corte non ha, infatti, mancato di riconoscerla quale “unica lingua ufficiale” (sent. n. 28/1982) e di assegnare a tale qualificazione una funzione sostanziale, quale “criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l’uso delle lingue minoritarie, evitando che possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica” (sent. n. 159/2009). La Consulta richiama, in ultimo, la sent. n. 42/2017 (pronunciata in riferimento alla previsione di corsi universitari interamente in lingua inglese), sottolineando che il primato della lingua italiana non è solo costituzionalmente indefettibile, ma anche “decisivo per la trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé”.
Siffatto valore costituzionale deve essere bilanciato con l’altro di pari rango costituzionale della tutela delle minoranze linguistiche, che costituisce uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento, frutto di un “rovesciamento di grande portata politica e culturale, rispetto all’atteggiamento nazionalistico manifestato dal fascismo” (sent. n. 15/1996).
La necessità di un bilanciamento tra i due principi emerge particolarmente in riferimento alla toponomastica, sia per la sua funzione pratica di formale individuazione dei luoghi che per quella comunicativa e simbolica tesa a valorizzare le tradizioni storiche del territorio e della comunità che in nel medesimo vive. Non è un caso che la tematica venga in rilievo sia nella Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d’Europa il 5 novembre 1992 (all’art. 10, co. 2, lett. g), sia nella Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali (all’art. 11, co. 3), adottata dallo stesso Consiglio d’Europa il 1 febbraio 1995 (e ratificata in Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302).
Nella prospettiva di un equo bilanciamento tra il carattere ufficiale della lingua italiana e l’adozione, in aggiunta ai toponomi ufficiali, dell’adozione di toponomi conformi alle tradizioni e agli usi locali si pone anche la legge n. 482/1999 relativa alla tutela delle minoranze linguistiche storiche.
In questo contesto si inseriscono anche le previsioni dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol: in generale, l’art. 99 che dispone la parificazione nella regione della lingua tedesca alla lingua italiana “che è la lingua ufficiale dello Stato” e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi in cui è prevista la redazione bilingue; e con particolare riferimento alla toponomastica, gli artt. 7, co. 1; art. 8 n. 2; 101 e 102.
Per quanto riguarda la lingua ladina che nel caso veniva in rilevo, il suo impiego nella toponomastica, unitamente alla lingua italiana è ribadito dalle norme di attuazione dello Statuto di autonomia: l’art. 73 d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 prevede espressamente che nelle valli ladine “può essere usato nella toponomastica locale, oltre che la lingua italiana e la lingua tedesca, anche il ladino”; e l’art. 5 d.lgs. 16 dicembre 1993, n. 592 individua con il toponimo bilingue sette località ladine tra le quali i due comuni oggetto di fusione. Quindi, nella Provincia di Bolzano devono essere utilizzati toponomi anche in lingua tedesca e toponomi anche in lingua ladina (cimbra o mochena) nei territori dove sono presenti le rispettive popolazioni senza tuttavia escludere la compresenza della lingua italiana. Solo siffatta compresenza è in grado di apprestare tutela alle minoranze linguistiche, senza far venir meno la primazia della lingua ufficiale della Repubblica.
La Corte censura quindi il fatto che il legislatore regionale abbia utilizzato un toponimo bilingue che fa ricorso nella sua prima parte ad una denominazione mistilingue (Sèn Jan di Fassa), anziché interamente italiana. L’utilizzazione dell’equivalente espressione italiana, San Giovanni, non può per la Corte qualificarsi quale forzosa italianizzazione di un toponimo tradizionalmente e storicamente radicato sul territorio, ma è frutto di una scelta politica del Consiglio regionale, che peraltro adopera il nome di un santo non sconosciuto alla lingua italiana e quindi sicuramente traducibile.
Di qui l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge reg. 8/2017 nella parte in cui utilizza la denominazione “Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan” anziché quella di “San Giovanni di Fassa-Sèn Jan”.