Nella sentenza che si segnala la Corte di giustizia ha stabilito che il diritto alle ferie annuali retribuite, quale sancito dall'art. 31 par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere considerato come un principio particolarmente importante nel diritto sociale dell'Unione. Non sono quindi compatibili con il diritto dell'Unione, letto alla luce della Carta, disposizioni o prassi nazionali in base alle quali il lavoratore debba anzitutto beneficiare delle ferie annuali prima di poter stabilire se ha diritto a essere retribuito per esse. Inoltre, il diritto dell'Unione non permette agli Stati membri né di precludere la nascita del diritto alle ferie annuali retribuite, né di prevedere che tale diritto - nel caso di un lavoratore al quale è stato impedito di esercitarlo - si estingua allo scadere del periodo di riferimento e/o del periodo di riporto fissato dal diritto nazionale.
Con il crescente numero di persone che, nell'Unione europea, si trova a svolgere lavori flessibili, occasionali e intermittenti, non stupisce che la Corte di giustizia sia stata chiamata a pronunciarsi in merito alla tutela dei diritti fondamentali - in particolare il diritto alle ferie annuali retribuite - nell'ambito del diritto sociale dell'Unione. Contrariamente a quanto statuito in alcune precedenti e note sentenze (si pensi ad es. alle sentenze Viking, causa C-438/05, 11 dicembre 2007, ECLI:EU:C:2007:772 e Laval, causa 341/05, 19 dicembre 2007, ECLI:EU:C:2007:809), nella presente decisione la Corte sembra prediligere una maggior tutela dei lavoratori, attraverso un'interpretazione ampia dei diritti fondamentali, piuttosto che gli interessi - primariamente economici - dei datori di lavoro.
Nella sentenza del 29 novembre 2017, il giudice dell'Unione si è pronunciato in via pregiudiziale nell'ambito di un procedimento giudiziario che vedeva coinvolti il sig. King, un lavoratore "con contratto di lavoro autonomo" (par. 14) e la società inglese presso cui egli svolgeva la propria attività. Il sig. King, in virtù di tale contratto, era remunerato unicamente sulla base delle commissioni, che tuttavia non gli venivano retribuite quando usufruiva delle ferie annuali. A seguito del suo licenziamento, sebbene nel contratto non si facesse menzione di alcun diritto relativo alle ferie annuali, il sig. King aveva chiesto al datore di lavoro il pagamento delle indennità corrispondenti all'intero periodo di occupazione, vale a dire sia per le ferie godute e non retribuite, sia per quelle non godute. La società aveva tuttavia respinto la richiesta, affermando che il sig. King non aveva diritto ad alcuna indennità, in virtù del suo "statuto di lavoratore autonomo" (par. 15).
Il lavoratore aveva quindi intentato una causa contro la società per discriminazione basata sull'età, chiedendo contestualmente, da un lato, il riconoscimento della qualifica di "lavoratore" ai sensi della direttiva 2003/88 e, dall'altro, il pagamento dell'indennità per le ferie sia godute e non retribuite, sia non godute. L'Employment Tribunal (tribunale del lavoro) aveva quindi accolto il ricorso con sentenza, successivamente appellata dal datore di lavoro avanti all'Employment Appeal Tribunal. Quest'ultimo aveva accolto l'appello, ma solo quanto all'aspetto dell'indennità per ferie retribuite. Il sig. King aveva quindi proposto un ricorso dinanzi alla Court of Appeal, la quale aveva deciso di sollevare diverse questioni pregiudiziali interpretative alla Corte di giustizia, relative, in primo luogo, alla conformità della normativa inglese rispetto alla direttiva 2003/88, nonché al diritto ad un ricorso effettivo (sancito nell'art. 47 della Carta). In particolare, dalla ricostruzione dell'Employment Appeal Tribunal si ricavava che, ad avviso dello stesso giudice, il lavoratore avrebbe dovuto innanzitutto fruire delle ferie non retribuite e solo dopo averlo fatto avrebbe potuto verificare se gli spettasse o meno il pagamento al riguardo. In secondo luogo, il giudice del rinvio interrogava la Corte circa la possibilità che le ferie retribuite non godute potessero essere oggetto di riporto, in quanto il lavoratore avrebbe esercitato il suo diritto alle ferie annuali se il suo datore di lavoro non si fosse rifiutato di retribuire le ferie, costituendo quindi un impedimento all'esercizio di tale diritto; infine, la questione se il riporto potesse avvenire a tempo indefinito, o invece dovesse esservi un periodo limitato per esercitare tale diritto.
Nelle sue conclusioni ,presentate l'8 giugno 2017, l'Avvocato generale Tanchev ha rilevato che l'aspetto rilevante ai fini della risoluzione della controversia non era "la portata del potere discrezionale dello Stato membro per quanto riguarda le condizioni di ottenimento e di concessione delle ferie annuali retribuite" (par. 30, conclusioni Avvocato generale), quanto piuttosto "la sostanza del diritto a causa della mancanza, in primo luogo, di uno strumento, nel rapporto di lavoro, per l'esercizio di tale diritto" (ibid.). La Corte di giustizia, infatti - rispondendo alla questione relativa alla compatibilità con il diritto dell'Unione di una normativa che prevede che il lavoratore debba innanzitutto beneficiare delle ferie prima di poter stabilire se ha diritto ad essere retribuito per le stesse - è partita proprio dalla natura del diritto in questione. Essa ha infatti affermato che, in base all'art. 7 par. 1 della direttiva 2003/88 "ogni lavoratore beneficia di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane" (par. 32) e che "tale diritto alle ferie annuali retribuite dev'essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, la cui attuazione da parte delle autorità competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 stessa" (ibid., corsivo aggiunto). Tale importanza è altresì data dal fatto che "il diritto alle ferie annuali retribuite è espressamente sancito all'articolo 31, paragrafo 2, della Carta" (par. 33) che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6 par. 1 TUE). Nelle sue conclusioni, l'Avvocato generale ha infatti sottolineato il valore aggiunto dato dall'art. 31 par. 2 della Carta, in particolare in quanto lo stesso "costituisc[e] un'espressione specifica del rispetto della dignità umana, tutelato in modo più ampio dal Titolo I della Carta"(par. 39, conclusioni Avvocato generale).
Di conseguenza, gli Stati membri hanno un potere discrezionale limitato nel definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto in questione. Essi, piuttosto, "devono astenersi dal condizionare la costituzione stessa di tale diritto, il quale scaturisce direttamente dalla suddetta direttiva" (par. 34). Inoltre, secondo la Corte, in base alla direttiva, "il diritto alle ferie annuali e quello all'ottenimento di un pagamento a tale titolo [sono trattati] come due aspetti di un unico diritto" (par. 35), in quanto "l'obiettivo di pagare tali ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione di dette ferie, in una situazione che, dal punto di vista della retribuzione, è paragonabile ai periodi di lavoro" (ibid.).
Dopo tali premesse, volte a inquadrare e sottolineare l'importanza del diritto alle ferie annuali retribuite, la Corte ha rilevato - in relazione al caso di specie - che "ogni azione od omissione di un datore di lavoro, avente un effetto potenzialmente dissuasivo sulla richiesta di ferie annuali da parte del lavoratore" (par. 39), compresa l'incertezza per il lavoratore riguardo alla retribuzione dovutagli durante il periodo di ferie, ha come effetto di impedire al lavoratore stesso di "godere del tutto di tali ferie come un periodo di distensione e di ricreazione" (par. 37). Pertanto, tali circostanze sono incompatibili "con le finalità del diritto alle ferie annuali retribuite" (par. 39).
Partendo da tali considerazioni, la Corte di giustizia ha poi preso in esame la normativa del Regno Unito, come interpretata dal giudice nazionale, in base alla quale un lavoratore potrebbe far valere una violazione del diritto alle ferie annuali "solamente qualora il datore di lavoro non gli accordi alcun periodo di ferie (retribuite o meno)" (par. 43), oppure per reclamare esclusivamente il pagamento delle ferie effettivamente godute. Secondo il giudice dell'Unione, "una tale interpretazione dei mezzi di ricorso nazionali previsti in materia, comporta che, nel caso in cui il datore di lavoro accordi solamente ferie non retribuite al lavoratore, quest'ultimo non potrebbe far valere davanti al giudice il diritto di usufruire delle ferie retribuite in quanto tali" (par. 44). Infatti, "egli sarebbe innanzitutto obbligato a usufruire delle ferie senza la retribuzione e, in seguito, a introdurre un ricorso diretto a ottenerne il pagamento" (ibid.). Il lavoratore, inoltre, non potrebbe neanche beneficiare dell'indennità per le ferie non godute in caso di cessazione del rapporto lavorativo, come previsto dal par. 2 dell'art. 7 della direttiva 2003/88.
Pertanto, secondo la Corte, un'interpretazione dei mezzi di ricorso forniti al lavoratore in una situazione come quella del sig. King, "rende impossibile a tale lavoratore far valere, alla cessazione del rapporto di lavoro, una violazione dell'art. 7 della direttiva 2003/88 per le ferie retribuite dovute ma non godute, al fine di beneficiare dell'indennità" (par. 46). La Corte quindi ha ritenuto che "un lavoratore, come il ricorrente nel procedimento principale, si vede di conseguenza privato di un ricorso effettivo" (par. 46), sancito dall'art. 47 della Carta.
La Corte ha preso poi in esame la questione dell'incompatibilità con il diritto dell'Unione, di "disposizioni o prassi nazionali le quali prevedono che un lavoratore non possa riportare e, se del caso, cumulare, fino al momento in cui il suo rapporto di lavoro termina, i diritti alle ferie annuali retribuite non esercitabili relativi a più periodi di riferimento consecutivi, a causa del rifiuto del datore di lavoro di retribuire tali ferie" (par. 48). Il giudice dell'Unione ha quindi richiamato la sua giurisprudenza in casi nei quali il mancato esercizio del diritto di un lavoratore alle ferie annuali retribuite, fino alla cessazione del rapporto di lavoro, dipendeva da "ragioni indipendenti dalla sua volontà, e in particolare a causa di una malattia" (par. 49). Egli ha quindi ritenuto che "nel caso di specie, il sig. King non ha potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, prima del pensionamento, proprio per delle ragioni indipendenti dalla sua volontà" (par. 50).
A fronte di tale precisazione, la Corte ha ricordato innanzitutto che il diritto dell'Unione "non permette agli Stati membri né di precludere la nascita del diritto alle ferie annuali retribuite, né di prevedere che tale diritto di un lavoratore al quale è stato impedito di esercitarlo si estingua allo scadere del periodo di riferimento e/o del periodo di riporto fissato dal diritto nazionale" (par. 51). Inoltre, "un lavoratore che non ha potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, ha diritto ad un'indennità finanziaria" (ibid.).
Il giudice dell'Unione ha quindi preso in esame la propria giurisprudenza relativa ad ipotesi in cui i lavoratori non avevano potuto esercitare il proprio diritto alle fere retribuite a causa dell'assenza da lavoro per malattia. In tale contesto, la Corte aveva riconosciuto che "nonostante un lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi abbia il diritto di accumulare, senza limiti, tutti i diritti alle ferie annuali retribuite maturati durante la sua assenza dal lavoro, un tale cumulo illimitato non risponderebbe più alla finalità stessa del diritto alle ferie annuali retribuite" (par. 54). Sono quindi compatibili con il diritto dell'Unione, norme o prassi nazionali che prevedono periodi di riporto di quindici mesi allo scadere dei quali il diritto alle ferie annuali si estingue: infatti, secondo la Corte, in tali situazioni particolari, è necessario tutelare non solo il lavoratore ma anche il "datore di lavoro, il quale affronta il rischio di un cumulo troppo considerevole dei periodi di assenza del lavoratore e le difficoltà che tali assenze potrebbero implicare per l'organizzazione del lavoro" (ibid.)
Ma la situazione del sig. King potrebbe essere assimilata a quella di un lavoratore che non ha goduto delle ferie retribuite a causa di una malattia? Secondo la Corte no, per una serie di ragioni che non ha esitato a elencare. In primo luogo, un diritto fondamentale, come il diritto alle ferie annuali retribuite, non può essere interpretato in modo restrittivo; qualsiasi deroga al regime dell'Unione in materia di organizzazione dell'orario di lavoro "deve essere interpretata in modo che la sua portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tale deroga permette di proteggere" (par. 58). Nel caso di specie, "una protezione degli interessi del datore di lavoro non sembra strettamente necessaria e, di conseguenza, non risulta tale da giustificare una deroga al diritto alle ferie annuali retribuite del lavoratore" (par. 59). Infatti, il datore di lavoro del sig. King non ha dovuto affrontare dei periodi di assenza del lavoratore che, "al pari del congedo di malattia, avrebbero causato delle difficoltà inerenti all'organizzazione del lavoro" (par. 60). In secondo luogo, è onere del datore di lavoro acquisire ogni informazione riguardante i suoi obblighi circa le ferie annuali retribuite dei suoi lavoratori. Infatti, "la costituzione stessa del diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinata ad alcuna condizione, essendo tale diritto conferito direttamente al lavoratore dalla direttiva 2003/88" (par. 62). Quindi, "il datore di lavoro che impedisca a un lavoratore di esercitare il diritto alle ferie annuali retribuite deve assumerne le conseguenze" (par. 63), compreso il pagamento delle somme dovute per l'indennità. Infine, secondo la Corte, "ammettere un'estinzione del diritto alle ferie annuali retribuite acquisito dal lavoratore equivarrebbe a legittimare un comportamento che causa un arricchimento illegittimo del datore di lavoro a danno dell'obiettivo stesso della citata direttiva di rispettare la salute del lavoratore" (par. 64).
Pertanto, secondo la Corte, sono incompatibili con il diritto dell'Unione, "disposizioni o prassi nazionali secondo le quali un lavoratore non può riportare e, se del caso, cumulare, fino al momento in cui il suo rapporto di lavoro termina, i diritti alle ferie annuali retribuite non godute nell'arco di più periodi di riferimento consecutivi, a causa del rifiuto del datore di lavoro di retribuire tali ferie" (par. 65).