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Novità in tema di rapporti tra diritto interno e diritto europeo (1/2018)

Sentenza n. 269/2017 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 14 dicembre 2017 – Pubblicazione in G.U. del 20/12/2017, n. 51

Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 269 del 2017, la Corte costituzionale ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale promosse, con due distinte ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma avverso l’articolo 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), in riferimento agli articoli 3, 53, primo e secondo comma, e 23 della Costituzione. In particolare, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata, nel prevedere una nuova fonte di finanziamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) che impone l’applicazione di contributi a carico dei soli imprenditori con fatturato superiore a 50 milioni di euro, violerebbe i suddetti parametri costituzionali in relazione ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva.

La pronuncia in esame merita, tuttavia, di essere segnalata per profili che non attengono al merito del giudizio di costituzionalità, bensì per alcuni significativi elementi di novità in tema di rapporti tra diritto interno e diritto dell’Unione europea.
È infatti la decisione di inammissibilità della prima delle due ordinanze di rimessione ad offrire ai giudici costituzionali l’occasione per svolgere quella che la Corte definisce «una precisazione», ma che in realtà costituisce un ulteriore rilevante sviluppo dell’orientamento giurisprudenziale in materia di antinomie tra fonti interne e diritto dell’Unione europea. Le due diverse ordinanze, ancorché sostanzialmente coincidenti quanto ad oggetto e parametri evocati, differiscono per l’iter argomentativo seguito dal giudice a quo. Mentre nella prima ordinanza il giudice rimettente ha ritenuto di «dover invertire l’ordine di esame delle questioni eccepite dal ricorrente – che in principalità aveva chiesto di disapplicare (rectius: non applicare) le norme impositive del contributo per contrasto con la normativa dell’Unione europea in materia – stimando “più aderente al sistema giuridico complessivo” scrutinare la conformità della disciplina ai principi costituzionali interni», nella seconda ordinanza di rimessione la Commissione tributaria provinciale di Roma ha, al contrario, dapprima valutato la sussistenza del contrasto con la normativa europea ai fini del giudizio di rilevanza della questione di costituzionalità e, soltanto all’esito di tale giudizio, ha investito della questione la Corte costituzionale.
Rilevata la differente impostazione dei due atti di rimessione, la Corte argomenta la decisione di inammissibilità della prima ordinanza attraverso due diversi passaggi.
Nel primo la Corte, muovendo dal giudizio principale nel quale i ricorrenti avevano dedotto la violazione di disposizioni dei Trattati istitutivi europei (articoli 49 e 56 TFUE), ribadisce il proprio orientamento in materia, richiamando il diverso modo di operare del giudice comune a seconda che la norma di diritto europeo, con la quale è stato rilevato il contrasto, sia o meno dotata di efficacia diretta. Qualora si tratti di disposizione del diritto dell’Unione europea direttamente efficace, «spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando – se del caso – il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all’applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale»; in caso contrario, il giudice comune, dopo aver eventualmente accertato il contrasto mediante ricorso alla Corte di giustizia e trovandosi nell’impossibilità di risolvere tale contrasto in via interpretativa, «deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi [alla] Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario».
Precisati nuovamente i confini del controllo spettante al giudice comune, la Corte sviluppa ulteriormente il proprio percorso argomentativo nel secondo passaggio. Ed è qui che risiede l’elemento di novità della pronuncia in esame.
Alla regola sopra richiamata che governa i rapporti tra le fonti interne e il diritto dell’Unione europea la Corte individua una nuova eccezione, vale a dire un ambito che, indipendentemente dall’efficacia diretta delle norme europee, resta sottratto al potere di disapplicazione della norma interna da parte del giudice comune. Si tratta dei principi e dei diritti enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, «dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale», consolidatosi per effetto dei cambiamenti che hanno interessato l’ordinamento europeo a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Ciò implica – ad avviso dei giudici costituzionali – che la violazione di un diritto della persona possa infrangere, al contempo, le garanzie previste dalla Costituzione e quelle codificate nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, circostanza che postula «la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e dall’art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito».
In altri termini – conclude la Corte – qualora il giudice comune dubiti della conformità di una disposizione di diritto interno sia con riferimento ai diritti garantiti dalla Costituzione italiana sia in relazione ai diritti enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, questi deve sollevare questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE.

Osservatorio sulle fonti

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