Sentenza n. 261/2017 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 13/12/2017 – Pubblicazione in G.U. 20/12/2017, n. 51
Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 261/2017 la Corte costituzionale, ha esaminato, rigettandoli in larga parte, i ricorsi proposti dalle Regioni Puglia, Toscana, Liguria e Lombardia contro il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 219 recante Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Fra le numerose censure proposte dalle Regioni ricorrenti è opportuno soffermarsi su quelle della Toscana e della Liguria, che hanno impugnato l’intero testo del d.lgs. n. 219/2016, lamentando una violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione. Un motivo d’impugnazione parzialmente analogo è rinvenibile anche nel ricorso presentato dalla Regione Lombardia.
Le questioni ora citate prospettano, fra l’altro, una violazione del principio di leale collaborazione, cagionata dal fatto che il d.lgs. n. 219/2016 è stato adottato previo parere della Conferenza unificata anziché dopo aver acquisito l’intesa in conferenza Stato-Regioni. Se è vero che questo dato è conforme a quanto disposto nella legge di delega (art. 10, comma 2, della legge n. 124/2015), nondimeno la Corte ritiene necessario soffermarsi su argomentazioni “connotat[e], in parte, da profili di novità” (paragrafo 6.2.4 del Considerato in diritto). Per risolvere la questione, infatti, il giudice delle leggi ritiene necessario prendere le mosse dai principi desumibili dalla sentenza n. 251/2016. In quella pronuncia la Corte aveva affermato che qualora il legislatore delegante conferisca al Governo il compito di emanare disposizioni che incidano su ambiti caratterizzati da uno stretto intreccio di materie e competenze statali e regionali, è necessario prevedere il requisito dell’intesa, “cardine della leale collaborazione anche quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati” (sentenza n. 251/2016, paragrafo 3 del Considerato in diritto). La Corte aveva perciò ritenuto ammissibile che s’impugnasse la norma di delega lamentando una violazione del principio di leale collaborazione. Questo possibile vizio è definito come un “effetto diretto ed immediato” della norma di delega stessa, e non “del decreto delegato che ad essa dovrà prestare (ovvero che ha prestato) la dovuta osservanza; proprio per questo la norma di delega, in parte qua, è stata ritenuta impugnabile prima ancora dell’adozione del decreto delegato”, il cui “eventuale vizio” sarebbe invece “meramente riflesso” (paragrafo 6.2.4 del Considerato in diritto).
In conseguenza di questa ricostruzione, se una legge delega è suscettibile di ledere interessi regionali poiché ha a oggetto la futura regolamentazione di ambiti complessi e caratterizzati da un intreccio di competenze statali e regionali, la Regione può e deve farlo valere impugnando tempestivamente la norma di delega. Non può che essere dichiarata inammissibile, invece, l’impugnazione del decreto legislativo delegato. In primo luogo, infatti, una diversa soluzione si risolverebbe in un’inaccettabile elusione del termine perentorio di sessanta giorni, stabilito all’art. 127, secondo comma, Cost. A nulla vale anche il richiamo all’inapplicabilità dell’istituto dell’acquiescenza nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale: in questo caso, infatti, non si è in presenza della reiterazione del contenuto di una precedente disposizione o della novazione di una fonte precedente, bensì della mera applicazione di una norma vigente, che il legislatore delegato si è limitato a osservare e neppure avrebbe potuto disattendere, a meno d’incorrere, proprio in questo modo, in una violazione dell’art. 76 Cost. In terzo luogo, le argomentazioni della Corte traggono conforto da un orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando il vizio della norma del decreto delegato deriva dall’osservanza della norma di delega, è esclusa la censurabilità della stessa e non si può neppure configurare l’ipotesi che la Corte sollevi essa stessa questione di legittimità costituzionale della legge di delega (cfr. le sentenze nn. 206/2001 e 46/2013).