Sentenza n. 115/2018 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 31/05/2018 – Pubblicazione in G. U. 06/06/2018, n. 23
Motivo della segnalazione
La sentenza che qui si segnala è una decisione da inquadrare in un filone giurisprudenziale piuttosto noto: si tratta infatti dell’epilogo della “saga Taricco”.
A dare il via alla vicenda Taricco è stata una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, promossa dal Tribunale di Cuneo e relativa all’interpretazione degli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE nonché dell’articolo 158 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto. Alla questione pregiudiziale sollevata dai giudici piemontesi ha fatto seguito una prima sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sent. 8 settembre 2015, C-105/14), con cui si è affermato che le norme italiane in materia di prescrizione dovevano essere disapplicate giudizialmente in casi di frode finanziaria particolarmente grave.
Alla sentenza della Corte del Lussemburgo sono seguite diverse ordinanze di legittimità costituzionale, circa la possibile incompatibilità del diritto europeo con il principio di legalità in ambito penale. La Corte costituzionale, con ordinanza 24/2017, ha reinvestito della questione la Corte di giustizia, con un ulteriore rinvio pregiudiziale. La Corte di giustizia (sentenza 5 dicembre 2017, C-42/17) ha restituito la palla alla Corte, dopo aver affermato che
“L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge
applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.”
Il giudice delle leggi, nel decidere la questione, riparte dalla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, sollevata dalla Cassazione, e dalla questione di legittimità costituzionale sulla stessa disposizione, per contrasto con l’art. 25, secondo comma della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Milano.
La Corte ricostruisce quindi quella che definisce come la “regola Taricco”:
“il giudice nazionale deve disapplicare, alle condizioni che poi si vedranno, gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., omettendo di dichiarare prescritti i reati e procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola che è stata tratta dall’art. 325, paragrafo 1, TFUE, quando questo regime giuridico della prescrizione impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall’art. 325, paragrafo 2, TFUE (cosiddetto principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro.” (considerato in diritto, punto 3).
I giudici rimettenti, nelle questioni di loro competenza, hanno verificato l’applicabilità della regola appena enunciata, ma ritengono che “che essa sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato e censurano pertanto la normativa nazionale che, dando esecuzione all’art. 325 TFUE, accoglie nel nostro ordinamento tale regola.” (considerato in diritto, 4). Il giudice delle leggi – riaffermata la riconducibilità alla legalità penale sostanziale dell’istituto della prescrizione – richiama i profili di incostituzionalità evocati nelle ordinanze di rimessione: secondo la Cassazione, sarebbe violato in primis l’art. 25, secondo comma, Cost. “per i profili della riserva di legge in materia penale, posto che il regime della prescrizione cesserebbe di essere legale, della determinatezza, a causa della genericità dei concetti di «grave frode» e di «numero considerevole di casi», intorno ai quali ruota la “regola Taricco”, e del divieto di retroattività, considerato che i fatti addebitati agli imputati sono anteriori all’8 settembre 2015, data di pubblicazione della sentenza Taricco.” Sarebbe poi violato l’art. 101, secondo comma, Cost., “perché verrebbe demandata al giudice un’attività implicante una «valutazione di natura politico-criminale» che spetterebbe invece al legislatore.” Per quanto concerne il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., esso sarebbe da ricondurre “all’irragionevolezza manifesta della “regola Taricco” e dell’impedimento che essa avrebbe costituito per gli imputati di prevedere la data di prescrizione del reato e conseguentemente di valutare l’opportunità di accedere a un rito alternativo”. L’art. 27, terzo comma, Cost., sarebbe invece leso dal fatto che legare le valutazioni relative alla prescrizione a dati di carattere finanziario farebbe venire meno la finalità rieducativa della pena. Secondo il Corte d’appello di Milano, invece, la normativa de quasarebbe incostituzionale perché in contrasto con quanto previsto dall’art. 25, secondo comma, Cost., visto che la “regola Taricco” implicherebbe, per il reato del processo a quo, commesso prima dell’8 settembre 2015, l’applicazione di una disciplina retroattiva in malam partem(considerato in diritto, punto 4). La Corte richiama quindi quanto era alla base dell’ord. 24/2017. Per la Consulta, l’applicazione della “regola Taricco” all’interno dell’ordinamento italiano comporterebbe una violazione degli artt. 25, secondo comma, e 101 Cost., non giustificabile neppure alla luce del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto nazionale. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, si può ipotizzare che “la stessa sentenza Taricco (paragrafi 53 e 55) tenda ad escludere tale applicazione ogni qual volta essa venga a trovarsi in conflitto con l’identità costituzionale dello Stato membro e in particolare implichi una violazione del principio di legalità penale, secondo l’apprezzamento delle competenti autorità di tale Stato.”; e su questo punto verteva la questione pregiudiziale sollevata dalla Consulta (considerato in diritto, punto 5). La risposta della Corte del Lussemburgo – secondo la lettura datane dalla Corte costituzionale – è su due piani differenti: da un lato, essa “provvede a chiarire che, in virtù del divieto di retroattività in malam partemdella legge penale, la “regola Taricco” non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’8 settembre 2015 (paragrafo 60). Si tratta di un divieto che discende immediatamente dal diritto dell’Unione e non richiede alcuna ulteriore verifica da parte delle autorità giudiziarie nazionali.”; si può ricordare, infatti, come l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea statuisca che “Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.” (corsivo nostro). Sul secondo piano, strettamente connesso al primo, dal paragrafo 59 della decisione della Corte di giustizia discende che spetti alle autorità giudiziarie nazionali valutare la compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza in materia penale. Perché si possa disapplicare la disciplina nazionale sulla prescrizione, però, è indispensabile che il giudice nazionale “effettui uno scrutinio favorevole quanto alla compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza, che è, sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (considerato in diritto, punto 7).
Però – come già precisato nell’ord. 24/2017 – “l’autorità competente a svolgere il controllo sollecitato dalla Corte di giustizia è la Corte costituzionale, cui spetta in via esclusiva il compito di accertare se il diritto dell’Unione è in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale e in particolare con i diritti inalienabili della persona”; il giudice comune ha il ruolo essenziale di “porre il dubbio sulla legittimità costituzionale della normativa nazionale che dà ingresso alla norma europea generatrice del preteso contrasto”, ma la valutazione circa l’applicabilità della “regola Taricco” spetta alla Corte costituzionale. Ciò impedisce la restituzione degli atti richiesta dalla Presidenza del Consiglio de ministri e da una parte del giudizio davanti alla Corte d’appello di Milano.
Nei giudizi a quibusla “regola Taricco” non ha effetti: come sottolineato dalla Consulta, “in entrambi i processi principali si procede per fatti avvenuti prima dell’8 settembre 2015”; quindi l’applicabilità degli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. e la conseguente prescrizione dei reati oggetto dei procedimenti a quibussono riconosciute anche dalla Corte di giustizia, che ha escluso gli effetti della “regola Taricco” nei confronti dei reati commessi prima di tale data (considerato in diritto, punti 9 e 10).
Ciò, tuttavia, non implica il venire meno della rilevanza della questione: riconoscere l’avvenuta prescrizione sulla base delle pronunce della Corte del Lussemburgo significherebbe comunque applicare la “regola Taricco”, pur limitandone temporalmente la portata; ma il giudice nazionale non può comunque darne applicazione, perché essa “è in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall’art. 25, secondo comma, Cost.”. il giudice delle leggi, quindi, ribadisce quanto già evidenziato nell’ordinanza 24/2017: la prescrizione è “un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza”; il legislatore può modularne la portata, “attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno”, ma sempre nella rigorosa osservanza delle prescrizioni costituzionali (considerato in diritto, punto 10). È quindi evidente il limite di determinatezza che connota l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte da cui si evince la “regola Taricco”), sia la “regola Taricco” in sé. La “regola Taricco”, di per sé, “per la porzione che discende dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, è irrimediabilmente indeterminata nella definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali può operare, perché il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo della legge che gli consenta di trarre da questo enunciato una regola sufficientemente definita. Né a tale giudice può essere attribuito il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.).”; per quanto concerne l’art. 325 TFUE, esso è indeterminato. Ciò perché non consente alla persona di prospettarsi la vigenza della “regola Taricco”. Nell’ordinamento italiano – sottolinea la Consulta – trova spazio l’imprescindibile imperativo di incarnare le scelte di diritto penale sostanziale in testi legislativi a conoscenza dei consociati; in questo contesto, “l’ausilio interpretativo del giudice penale non è che un posteriusincaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può raffigurarsi leggendolo” (considerato in diritto, punto 11). Il principio di determinatezza, inoltre, opera in una duplice direzione: perché “non si limita a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma assicura a chiunque «una percezione sufficientemente chiara ed immediata» dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta”; anche una migliore precisazione della “regola Taricco” ciò non varrebbe a «colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale» (sentenza n. 327 del 2008). (ibidem).
La lettura dell’art. 325 TFUE non consente ai consociati di prefigurare le conseguenze delle proprie condotte, anchecon riferimento alla prescrizione. Fermo restando il monopolio della Corte di giustizia nell’interpretazione del diritto dell’Unione e la specificazione del suo effetto diretto, “è anche indiscutibile che […] un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in campo penale non possa avere cittadinanza nel nostro ordinamento.” (considerato in diritto, punto 12).
Quanto esposto vale sia per la parte desunta dal primo paragrafo, sia per la parte discendente dal secondo paragrafo dell’art. 325 TFUE; per quanto riguarda questo secondo aspetto, la Consulta osserva che “anche se il principio di assimilazione non desse luogo sostanzialmente a un procedimento analogico in malam parteme potesse permettere al giudice penale di compiere un’attività priva di inaccettabili margini di indeterminatezza, essa, comunque sia, non troverebbe una base legale sufficientemente determinata nell’art. 325 TFUE, dal quale una persona non avrebbe potuto, né oggi potrebbe, desumere autonomamente i contorni della “regola Taricco””.
A ciò la Corte aggiunge che l’inapplicabilità della “regola Taricco” non deriva solamente dalla Costituzione italiana, ma dallo stesso diritto dell’Unione europea: non v’è quindi alcun contrasto fra i due ordinamenti. Quindi, alla luce delle ragioni esposte, la Corte proclama “la non fondatezza di tutte le questioni sollevate, perché, a prescindere dagli ulteriori profili di illegittimità costituzionale dedotti, la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso della “regola Taricco” nel nostro ordinamento.” (considerato in diritto, punto 14).