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La Corte apre sul profilo soggettivo della legittimazione del singolo parlamentare nei conflitti di attribuzione ma chiude – pur con degli spiragli assai ampi – sul profilo oggettivo nel caso ad oggetto (1/2019)

Ordinanza n. 17/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito dell’8 febbraio 2019 – pubblicazione in GU del 13 febbraio 2019, n. 7.

Motivo della segnalazione

Con il ricorso in esame, trentasette senatori hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alle modalità con cui il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» (A.S. 981), chiedendo alla Corte di ristabilire il corretto esercizio delle competenze costituzionalmente garantite e asseritamente violate dal Governo, dal Presidente della Commissione Bilancio, dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, dal Presidente e dall’Assemblea del Senato della Repubblica. 

 

Il ricorso è stato presentato da: trentasette senatori a titolo di singoli parlamentari, di «Gruppo parlamentare “Partito democratico”» e di minoranza qualificata pari a un decimo dei componenti del Senato. I ricorrenti lamentano la compressione dei tempi di discussione determinatasi in particolare a seguito della presentazione da parte del Governo dell’emendamento 1.9000, interamente sostitutivo del disegno di legge originario, cosiddetto maxi-emendamento, che avrebbe vanificato l’esame in Commissione e avrebbe reso impossibile la conoscibilità del testo, impedendo ai senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione, in violazione del principi costituzionali stabiliti in materia di procedimento di formazione delle leggi e di quello di leale collaborazione tra poteri.

La Corte esclude preliminarmente nel caso di specie la legittimazione della minoranza di un decimo dei componenti del Senato perché «la quota di attribuzioni che la Costituzione conferisce a una tale frazione del corpo dei parlamentari riguarda ambiti diversi da quelli oggetto del presente conflitto»; esclude poi la legittimazione del gruppo parlamentare nel caso in oggetto poiché «manca, nel ricorso in esame, la necessaria indicazione delle modalità con le quali il gruppo parlamentare avrebbe deliberato di proporre conflitto davanti alla Corte costituzionale».

Il resto dell’ordinanza si gioca sulla legittimazione del singolo parlamentare di sollevare il conflitto de quo. Essa «non è riconducibile alle fattispecie su cui questa Corte si è già espressa in senso negativo. Si tratta dunque di una situazione impregiudicata, da esaminare, nella sua specificità».

Per la Corte, sotto il profilo soggettivo lo status costituzionale del parlamentare «comprende un complesso di attribuzioni inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare, sicché nell’esercizio di tali attribuzioni egli esprime una volontà in se stessa definitiva e conclusa, che soddisfa quanto previsto dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953». 

I parlamentari sono dunque definiti «organi-potere titolari di distinte quote o frazioni di attribuzioni costituzionalmente garantite» che effettivamente «debbono potersi rivolgere al giudice costituzionale qualora patiscano una lesione o un’usurpazione delle loro attribuzioni da parte di altri organi parlamentari». 

Sotto il profilo oggettivo, tuttavia, premette che non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato le censure che riguardano esclusivamente violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera. Quando derivano dal diritto parlamentare la loro esaustiva qualificazione, le prerogative rivendicate dai membri delle Camere trovano all’interno delle Camere stesse le loro forme di tutela: ad esempio, la Corte ha escluso che le modalità di voto nelle Camere siano assoggettate al potere di accertamento di soggetti esterni (nella specie, il giudice penale), in quanto esse sono disciplinate solo dalle regole parlamentari.

Il suo stesso intervento, specifica la Corte, trova un limite nel principio di autonomia delle Camere costituzionalmente garantito, in particolare dagli artt. 64 e 72 Cost. Ritiene inoltre che il dovuto rispetto all’autonomia del Parlamento esiga che il suo sindacato debba essere rigorosamente circoscritto ai vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari ed è necessario che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione. Su queste basi afferma che «Non v’è dubbio che le carenze lamentate dal ricorso abbiano determinato una compressione dell’esame parlamentare; tuttavia il ricorso trascura alcuni elementi procedimentali e di contesto, i quali, se fossero stati debitamente tenuti in considerazione, avrebbero offerto un quadro più complesso e sfumato rispetto a quanto rappresentato dai senatori ricorrenti e all’interno del quale le violazioni lamentate non appaiono di evidenza tale da superare il vaglio di ammissibilità del conflitto».

Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile.

Osservatorio sulle fonti

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