Sentenza n. 63/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 21/03/2019 – pubblicazione in G. U. 27/03/2019, n. 13
Motivo della segnalazione
La decisione ha ad oggetto questioni sollevate dal giudice a quo in ordine a previsioni introdotte dal d.lgs. n. 72/2015 di attuazione di una direttiva dell’Unione europea in materia di attività finanziarie. A venire in rilievo è una modifica alla disciplina delle sanzioni amministrative per abuso di informazioni privilegiate.
La disposizione impugnata, nello stabilire l’inapplicabilità di una disposizione precedente a determinate fattispecie, con conseguente attenuazione del trattamento sanzionatorio, prevedeva tuttavia, che le disposizioni nuove «si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze […]».
La disposizione è stata impugnata in primo luogo in ordine ad un asserito contrasto con l’art. 76 Cost. (anche se erroneamente, come rilevato dal giudice delle leggi, nell’ordinanza di rimessione si richiamava l’art. 77 Cost.), attraverso il sollevamento di una questione che la Corte ha giudicato inammissibile tale questione per oscurità del petitum, connessa alla contradditorietà delle argomentazioni e dei riferimenti normativi adoperati dal giudice a quo.
La disposizione è stata poi impugnata altresì in riferimento, quali parametri, agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, mediante la sottoposizione alla Corte di censure attinenti alla compatibilità con il principio di ragionevolezza e con il principio di legalità in materia penale stabilito dalla CEDU.
Prima di entrare nel merito, la Corte si sofferma tra l’altro – profilo particolarmente significativo – su una eccezione di inammissibilità, concernente i poteri del giudice delle leggi di sindacare eventuali profili di contrasto della disciplina censurata con le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e, nella fattispecie, con il principio di necessaria retroattività delle norme penali più favorevoli sancito dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE.
Al di là del mancato puntuale richiamo, che la Corte rileva, di tale disposizione tra i parametri espressamente invocati nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione (mentre ne è fatto invece cenno nella parte motiva dell’ordinanza), la Consulta si pone sulla scia delle sentt. n. 269/2017 e 20/2019, al fine di ribadire di non poter ritenere precluso a se stessa l’esame nel merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, come nel caso di specie, con riferimento sia a parametri interni, anche mediati dalla normativa interposta convenzionale, sia – per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. – alle norme corrispondenti della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e ciò fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta.
Quanto al merito delle questioni sollevate, la Corte le dichiara fondate, in relazione a entrambi i parametri (art. 3 Cost. e art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 7 CEDU) invocati dal rimettente, su cui si fonda, nell’ordinamento italiano, il principio della retroattività della lex mitior in materia penale, applicabile anche alle sanzioni amministrative di natura “punitiva”.
La deroga alla retroattività in mitius stabilita dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, qui censurato, non supera infatti, secondo la Corte, il “vaglio positivo di ragionevolezza” ed è, pertanto, costituzionalmente illegittima, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche in mitius apportate alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di abuso di informazioni privilegiate.
Nel suo percorso argomentativo, la Corte ricorda che la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in materia penale (e per quanto detto sopra valida anche in relazione alle sanzioni amministrative “punitive”), sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del codice penale, è dotata di fondamento costituzionale, reperibile anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., «che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice» (come affermato nella sentenza n. 394 del 2006). Rileva la Corte che, mentre l’irretroattività in peius della legge penale (art. 25, comma 2, Cost.) costituisce un «valore assoluto e inderogabile», la regola della retroattività in mitius della legge penale medesima, in quanto ancorata all’art. 3 Cost. (e al principio di ragionevolezza) «è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli» (sentenza n. 236 del 2011).
La Corte ricorda altresì che con la sentenza n. 236 del 2011 essa stessa, sulla scia della giurisprudenza della Corte EDU, ha affermato che il «principio di retroattività in mitius» ha, «attraverso l’art. 117, primo comma, Cost, acquistato un nuovo fondamento, che si aggiunge a quello “domestico” di cui all’art. 3 Cost., con l’interposizione dell’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo», parametro di origine internazionale integrato anche dalle altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio, tra cui gli stessi artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost. La Corte ricorda inoltre che – anche nel prisma del diritto convenzionale – a tale principio non può riconoscersi carattere assoluto, ben potendo il legislatore «introdurre deroghe o limitazioni alla sua operatività, quando siano sorrette da una valida giustificazione», superando in altri termini un vaglio positivo di ragionevolezza.
Gli stessi principi validi in materia di sanzioni penali valgono, come già detto, in relazione a sanzioni amministrative “punitive”, tra le quali rientra senz’altro, secondo la Corte, quella in esame, che non può reputarsi una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né semplicemente mirante alla prevenzione di nuovi illeciti, configurandosi invece come sanzione dall’elevatissima carica afflittiva.
La Corte approda alla dichiarazione di incostituzionalità, non risultando possibile individuare un controinteresse costituzionalmente rilevante rispetto ai beni costituzionali sottesi al principio della retroattività della lex mitior.