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Giungono dalla Corte alcune indicazioni relative alle associazioni di enti locali (2/2019)

Sentenza n. 33/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 04/03/2019 – pubblicazione in G. U. 06/03/2019, n. 10

Motivo della segnalazione
La decisione che qui si segnala riguarda le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio in riferimento all’art. 14, commi 26, 27, 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del d.l. 78/2010 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in l.122/2010, anche come modificato dall’art. 19, comma 1, del d.l. 95/2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in l. 135/2012, e all’art. 1, commi 110 e 111, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)».
Ad avviso del giudice rimettente, la normativa statale si porrebbe in contrasto, nel complesso, con gli artt. 3, 5, 77, secondo comma, 95, 97, 114, 117, primo comma – in relazione all’art. 3 della Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439– e sesto comma, 118, 119 e 133, secondo comma, della Costituzione. Stando alla ricostruzione del giudice rimettente, la normativa regionale contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 95, 97, 114, 117, primo comma – in relazione all’art. 3 della Carta europea dell’autonomia locale – e sesto comma, e 118 Cost., per aver pretermesso il necessario coinvolgimento degli enti locali nella individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio associato delle funzioni fondamentali (punto 1 del considerato in diritto).


In sostanza, le disposizioni statali denunciate prevedono «l’obbligo per i Comuni di esercitare le funzioni fondamentali di cui sono titolari (comma 26), elencano le funzioni fondamentali medesime (comma 27), pongono l’obbligo, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (o a 3.000, se montani), di esercitarle in forma associata mediante unione di Comuni o convenzione (comma 28), disciplinano l’unione rinviando all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (comma 28-bis), vietano di svolgerle singolarmente o mediante più di una forma associativa (comma 29), demandano alle Regioni, nelle materie di cui all’articolo 117, III e IV comma, Cost., l’individuazione della dimensione territoriale ottimale per il predetto esercizio associato (comma 30) e definiscono il limite demografico minimo che le forme associate devono raggiungere (comma 31).» Per quanto concerne la normativa regionale denunciata, «in attuazione del citato comma 30, individua la dimensione territoriale ottimale e omogenea funzionale all’esercizio associato e le scadenze temporali per l’avvio di tale modalità di gestione.» (ibidem).
In questa sede, quel che si vuole segnalare all’attenzione del lettore sono dei particolari passaggi della sentenza in questione. La Consulta, all’interno di un iter argomentativo lungo e articolato, evidenzia come da un lato «la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale» (sentenza n. 220 del 2013), [mentre] dall’altro va rilevato che le norme censurate hanno introdotto riforme dalla portata innovativa solo parziale, atteso che […] sia la convenzione che l’unione di Comuni erano forme istituzionali già da tempo previste e disciplinate dall’ordinamento, che, sebbene in limitate ipotesi e solo in relazione a specifiche funzioni, prefigurava anche la possibilità di una loro costituzione obbligatoria (con riguardo alle convenzioni e ai consorzi: art. 24, comma 3, e art. 25, comma 7, della legge n. 142 del 1990).» (punto 6.3.3 del considerato in diritto). Poi, il giudice delle leggi sottolinea con forza i «gravi limiti che, rispetto al disegno costituzionale, segnano l’assetto organizzativo dell’autonomia comunale italiana, dove le funzioni fondamentali risultano ancora oggi contingentemente definite con un decreto-legge che tradisce la prevalenza delle ragioni economico finanziarie su quelle ordinamentali. Un aspetto essenziale dell’autonomia municipale è quindi risultato relegato a mero effetto riflesso di altri obiettivi: infatti, nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), l’individuazione (provvisoria) delle funzioni fondamentali (art. 21, comma 3) è stata meramente funzionale a permettere la disciplina del cosiddetto federalismo fiscale; nel d.l. n. 78 del 2010 (in via ancora provvisoria), e nel d.l. n. 95 del 2012 (in via non più provvisoria), essa è stata strumentale a vincolare, per motivi di spending review, i piccoli Comuni all’esercizio associato delle funzioni stesse.» (punto 7.6 del considerato in diritto).
A seguito della mancata adozione di una Carta delle autonomie locali, «il problema della dotazione funzionale tipica, caratterizzante e indefettibile, dell’autonomia comunale non è, quindi, stato mai stato risolto ex professo dal legislatore statale, come invece avrebbe richiesto l’impianto costituzionale risultante dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Una «fisiologica dialettica», improntata a una «doverosa cooperazione» (sentenza n. 169 del 2017), da parte del sistema degli attori istituzionali, nelle varie sedi direttamente o indirettamente coinvolti, dovrebbe invece assicurare il raggiungimento del pur difficile obiettivo di una equilibrata, stabile e organica definizione dell’assetto fondamentale delle funzioni ascrivibili all’autonomia locale.» (ibidem).
Ciò ha prodotto una situazione di forzosa omogeneità nella disciplina di situazioni ed esigenze (quelle di comuni molto piccoli e di comuni di dimensioni ragguardevoli) che spetterebbe al legislatore risolvere in maniera organica, come già avvenuto in altri ordinamenti europei (la Corte cita quello francese, quello tedesco, quello del Regno Unito e quelli di Svezia, Paesi Bassi, Belgio e Danimarca) (ibidem).
In proposito, quindi, la palla spetta al legislatore.
Peraltro, gli interventi regionali in materia dovrebbero tenere conto delle esigenze di concertazione: «L’art. 1, commi 110 e 111, della legge reg. Campania n. 16 del 2014» - afferma la Corte «è quindi in contrasto con gli artt. 5 e 114 Cost., nel combinato disposto con l’art. 97 Cost., non risultando dimostrato che l’individuazione ivi contenuta della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, di cui al comma 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, sia stata preceduta dalla concertazione con i Comuni interessati. Il contenuto precettivo del richiamato comma 30 dell’art. 14 del d.l. 78 del 2010, infatti, nell’imporre la concertazione con gli enti locali, integra il principio, affermato da questa Corte nella sentenza n. 229 del 2001, del necessario coinvolgimento, «per le conseguenze concrete che ne derivano sul modo di organizzarsi e sul modo di esercitarsi dell’autonomia comunale», degli enti locali infraregionali nelle determinazioni regionali che investono l’allocazione di funzioni tra i diversi livelli di governo, «anche di natura associativa». Ne deriva, in caso di mancata concertazione con gli enti locali, una lesione dell’autonomia comunale riconosciuta e garantita dagli artt. 5 e 114 Cost. Inoltre, appare del tutto evidente che la costituzione di un sistema locale efficacemente strutturato, al punto da conseguire risparmi di spesa, costituisce un obiettivo non conseguibile una volta pretermessa la voce dei Comuni, circostanza che configura un ingiustificato difetto di istruttoria, anche in considerazione dell’art. 97 Cost.» (punto 9.3 del considerato in diritto).

Osservatorio sulle fonti

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