Sent. n. 92/2022 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 12 aprile 2022 – Pubblicazione in G.U. del 13/04/2022, n. 15
Motivo della segnalazione
Con ricorso R.G. n. 102 del 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, davanti alla Corte costituzionale, gli artt. 5, comma 3, 7, 10, comma 2, 18, comma 2, 19, comma 1, 23, comma 1, e 25, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 13 ottobre 2020, n. 29, recante «Modifiche alla legge regionale 12 aprile 1983, n. 18 (Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo), misure urgenti e temporanee di semplificazione e ulteriori disposizioni in materia urbanistica ed edilizia», per violazione degli artt. 117, comma 2, lett. s); 117, comma 3, e 9 Cost.
Al netto delle questioni per le quali la Corte, in ragione di varie sopravvenienze normative modificative, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, è residuato l’esame della questione vertente sulla legittimità dell’art. 19, comma 1, della legge Regione Abruzzo n. 29 del 2020.
Tale disposizione, che ha modificato l’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 49 del 2012, ha rimosso l’originario termine di novanta giorni entro il quale il Consiglio comunale doveva adottare la delibera per il conferimento delle misure incentivanti previste dall’art. 3 della medesima legge – intese come «misure premiali per la riqualificazione urbana realizzata attraverso interventi di ristrutturazione, ampliamento e di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali […] e di edifici non residenziali» – estendendo senza limiti di tempo la possibilità di realizzare interventi anche dotati di significativo impatto territoriale.
Secondo lo Stato ricorrente, quindi, la disciplina impugnata, oltre ad essere lesiva dell’art. 9 Cost., violerebbe la «potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio», di cui all’art. 117, comma 2, lettera s), Cost., «rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio», in quanto i Comuni avrebbero la possibilità di «ricorrere alle misure incentivanti su tutto il territorio comunale, senza che tali facoltà siano ricondotte nell’alveo del piano paesaggistico regionale».
La Corte dichiara infondata la questione in quanto le censure prospettate muovono da un errato presupposto interpretativo, secondo il quale la normativa regionale non richiede il rispetto delle prescrizioni del piano paesaggistico. La disciplina impugnata, al contrario, deve essere «interpretata in armonia con i precetti costituzionali che il ricorrente ha evocato», come confermato dalla lettura dell’intero quadro normativo all’interno della quale la disposizione si colloca.
Infatti, l’art. 1, comma 2 ter, della legge Regione Abruzzo n. 49 del 2012, rinvia al rispetto delle prescrizioni fissate dall’art. 5 del decreto-legge n. 70 del 2011, il quale impone «il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
Inoltre, la stessa legge Regione Abruzzo n. 49 del 2012, all’art. 2, comma 8, esclude dall’ambito degli interventi una serie di edifici in ragione dei vincoli di carattere storico o artistico, della loro collocazione nei centri storici o in aree soggette alla inedificabilità assoluta ovvero vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Tali richiami dimostrano, ad opinione della Corte, la piena compatibilità degli interventi di riqualificazione consentiti dalla normativa impugnata con i principi posti a tutela del paesaggio e dei beni culturali. D’altra parte, quelle a essi inerenti sarebbero «prescrizioni dotate […] di immediata forza cogente, che si applicano indipendentemente da un espresso richiamo nelle previsioni regionali impugnate», non potendosi attribuire significato derogatorio ad un omesso richiamo espresso da parte del legislatore regionale.
Intesa nei termini indicati in motivazione, quindi, la normativa impugnata non palesa quei vizi che lo Stato aveva prospettato in ricorso.