Sentenza 145/2022
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Udienza Pubblica del 10/05/2022; decisione del 10/05/2022
Deposito del 13/06/2022; pubblicazione in G. U. 15/06/2022 n. 24
Con la sentenza qui segnalata, la Corte costituzionale si è pronunciata su una questione di legittimità sollevata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel 2021 e relativa all’art. 1-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148.
I parametri di legittimità costituzionale individuati erano gli artt. 3, 24, I comma, 39, I comma, 101, 102, 104, 111 e 117, I comma, della Costituzione; l’ultima disposizione citata, in particolare, veniva richiamata in relazione all’art. 6 della CEDU.
La disposizione sottoposta all’attenzione della Consulta dava una particolare interpretazione di una norma contenuta nel d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 5 (“Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri”). A seguito dell’applicazione della disciplina scrutinata, dei dipendenti del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (d’ora in avanti, MAECI) si erano visti rigettare la domanda di corresponsione dell’indennità di amministrazione durante i periodi di servizio prestato all’estero.
Il punto di partenza del giudice rimettente era che la norma censurata, che si autoqualificava come di interpretazione autentica, sarebbe stata in contrasto coi parametri costituzionali citati poco sopra. Questo “in ragione dell’efficacia retroattiva di cui essa è dotata, in assenza di motivi di interesse generale che possano giustificarne l’applicazione per il passato”; ciò spingeva, per il rimettente, verso “uno scrutinio volto a verificare il rispetto dei limiti generali entro i quali è consentita al legislatore l’adozione di norme retroattive, che per loro natura entrano in frizione con molteplici valori costituzionalmente tutelati”, nel prisma del principio di ragionevolezza.
Nella questione di legittimità costituzionale, poi, si rilevava che l’intento di porre fine a un lungo contenzioso fra l’amministrazione e i dipendenti del MAECI non era tale da poter razionalmente giustificare l’utilizzo di una fonte con efficacia retroattiva; anzi, la stessa autoattribuzione di tale efficacia sarebbe stata di per sé sbagliata, dal momento che al momento dell’entrata in vigore la disciplina da interpretare, nel 1967, l’indennità di amministrazione non esisteva neppure.
Il tentativo di intervenire, in questo modo, su una vicenda su cui era in corso un contenzioso, sarebbe poi stato lesivo dell’art. 24 della Costituzione e non rispettoso delle prerogative costituzionalmente attribuite al potere giudiziario.
Secondo la ricostruzione del giudice a quo, poi, come anticipato, sarebbero stati violati anche gli artt. 111 e 117, primo comma Cost.
Infine, la violazione dell’art. 39 della Costituzione sarebbe stata riconducibile al fatto che l’intervento legislativo retroattivo operato sull’assetto del trattamento economico complessivo dei dipendenti del MAECI avrebbe leso l’autonomia delle parti sociali nella sede negoziale collettiva.
Il giudice delle leggi ha considerato fondate le q.l.c. che prospettano la violazione degli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111 e 117, primo comma, Cost. sono fondate.
È interessante notare, sul piano delle fonti del diritto, come la Corte costituzionale abbia riaffermato che “l’efficacia retroattiva della legge deve trovare adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale»” (punto 10.1 del ‘considerato in diritto’) e che nello scrutinio di leggi che abbiano carattere retroattivo la Consulta “ha costruito nel tempo una solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU […] Anche nel caso in esame, i parametri interni evocati si prestano a essere letti in stretto coordinamento con quelli convenzionali, al fine di massimizzarne l’espansione in un «rapporto di integrazione reciproca»”.