Fonti degli Enti locali

Regolamento comunale relativo all’installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche (2/2024)

1) CONS. GIUST. AMM. SICILIA sez. giurisd., 8 aprile 2024, n. 271

 

Il legislatore statale, nell'inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha inteso esprimere un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall'articolo 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 687). 

Di talché "Alle Regioni ed ai Comuni è, dunque, consentito - nell'ambito delle rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di ripos

2) T.A.R. SICILIA, Palermo, 8 aprile 2024, n. 1175

L'ente locale non può introdurre una preclusione assoluta all'utilizzo della tecnologia ‘5G', esorbitando tale divieto generalizzato dall'ambito delle competenze comunali. E invero spetta al legislatore statale stabilire, in termini generali, la compatibilità di tali interventi con la tutela della salute, potendosi a livello comunale solo stabilire specifiche zone nelle quali è interdetta l'installazione di impianti di telefonia mobile (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 17/04/2023, n. 2315). La recente giurisprudenza ha altresì affermato che al regolamento comunale per l'installazione di impianti radiomobili non può riconoscersi valenza di strumento urbanistico (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 19/06/2023, n. 795).

Ancora di recente, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 03/03/2021, n. 2589) ha ribadito che risultano illegittime le previsioni regolamentari comunali che, nel precludere in modo assoluto l'installazione di impianti di telecomunicazioni secondo il criterio della distanza da un sito sensibile, non permettono tale collocazione, anche qualora sia ipotizzabile la carenza di soluzioni alternative, con le quali assicurare una potenza del segnale in linea di principio equivalente a quella conseguibile, in assenza del divieto.

Nel caso in esame, il diniego del Comune di Favara è motivato, oltre che in relazione alle preoccupazioni di natura "ambientale" espresse dalla popolazione e dai vari comitati ostili all'istallazione della nuova antenna per telefonia mobile, che tuttavia recedono innanzi alla valutazione positiva fatta dall'ARPA quale unico organo dotato della relativa competenza, anche in relazione alla mera destinazione urbanistica dell'area in cui ricade la particella. In altri termini, sulla base della mera previsione di PRG per la realizzazione nella zona di immobili rientranti tra i "siti sensibili" individuati dal regolamento comunale del 2005, senza che in concreto sia possibile verificare la violazione delle stesse previsioni regolamentari posto che, allo stato, nessun edificio tra quelli previsti come "sensibile" è in realtà stato realizzato.

Alla stregua della giurisprudenza, il diniego opposto risulta quindi illegittimo. Parimenti illegittima risulta la previsione generale prevista dal regolamento comunale di cui all'art. 9 comma 4 del regolamento impugnato, laddove il Comune introduce il divieto generalizzato, su tutto il territorio comunale, di installazione di nuovi impianti dotati di supporti con tipologia a traliccio.

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3) CONS. STATO, sez. VI, 4 giugno 2024, n. 4992

La sentenza ricostruisce il quadro normativo di riferimento in materia di infrastrutture di reti pubbliche di TLC, muovendo dalla legge n. 36 del 22 febbraio 2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici") costituente la base giuridica del regolamento comunale reputato illegittimo con la sentenza gravata. In aggiunta è richiamata la giurisprudenza amministrativa e costituzionale in materia.

In definitiva, alla luce della normativa di riferimento e delle precisazioni fornite nei precedenti giurisprudenziali, deve ritenersi che previsioni regolamentari (dettate a livello comunale alla stregua della pertinente disciplina statale e regionale), recanti divieti di localizzazione in talune aree del territorio comunale, siano illegittime, salvo che:

- la interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico, tendendo alla tutela di interessi sensibili, di regola costituzionalmente rilevanti;

- non siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, non impedendosi - per effetto del limite o del divieto posto dall'ente locale - la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio;

- non siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale.

In tale modo, non soltanto si garantisce un equo contemperamento tra gli obiettivi di interesse generale perseguiti dal Comune e l'interesse pubblico alla piena ed efficiente copertura di rete, ma si assicura anche il rispetto della stessa disciplina primaria che consente espressamente alle Amministrazioni comunali di adottare apposito regolamento.

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, viene giudicato il caso di specie, avente ad oggetto un provvedimento di diniego assunto dall'Amministrazione comunale sulla base del mancato rispetto del Piano comunale. Tale piano comunale risultava orientato verso l'organizzazione e la pianificazione delle installazioni di nuovi impianti, nonché l'adeguamento alla normativa in vigore degli impianti esistenti. La disciplina regolamentare prevedeva una suddivisione del territorio comunale in differenti tipologie di zone in ragione delle prevalenti destinazioni d'uso. Alla stregua della complessiva disciplina regolamentare, emerge che l'Amministrazione comunale, dapprima, ha esaminato le caratteristiche degli impianti esistenti, ha valutato le misurazioni elettromagnetiche eseguite, nonché ha acquisito i programmi di sviluppo reti dei vari gestori, procedendo pure a svolgere i necessari sopralluoghi e rilevamenti; all'esito, sulla base dell'accurata istruttoria svolta, ha emanato il regolamento di organizzazione degli impianti di teleradiocomunicazione, con lo scopo di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, di minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici e di conseguire il rispetto degli obiettivi di qualità. Si è di fronte, dunque, ad una disciplina regolamentare dettata all'esito di un'adeguata istruttoria, incentrata sulla disamina dello stato attuale della rete infrastrutturale e del suo programmato sviluppo, tendente a bilanciare contrapposti interessi, al fine di garantire, al contempo, la capillare distribuzione del segnale sull'intero territorio comunale, nonché la minimizzazione dell'impatto urbanistico e dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, costituente un obiettivo di interesse generale legittimamente perseguibile dall'ente locale. Al fine di realizzare tali esigenze di tutela, l'Amministrazione ha provveduto alla zonizzazione del territorio, dettando una specifica disciplina per ciascuna delle aree così delimitate.

Una tale disciplina regolamentare, alla luce delle considerazioni sopra svolte, non può ritenersi illegittima.

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4) CONS. STATO, sez. VI, 7 giugno 2024, n. 5104

Il regolamento previsto dall'art. 8, comma 6, l. n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti stazioni radio base, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, ecc.), ma non può imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale. Deve allora ritenersi consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 8, prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti, purché sia comunque garantita una localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale. Possono, quindi, ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono, in generale, la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree. In definitiva, ciò che risulta necessario è che la possibile interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico e che, comunque, i criteri localizzativi adottati non si trasformino in limitazioni alla copertura di rete. È necessario cioè che il limite o il divieto posto dall'ente locale non impedisca la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio. Deve, quindi, esservi un equo contemperamento tra l'interesse urbanistico perseguito dal Comune e l'interesse alla piena ed efficiente copertura di rete.

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5) CONS. STATO, sez. VI, 11 giugno 2024, n. 5236

Occorre premettere che la disciplina UE nello stabilire che "Per l'installazione di reti di comunicazione elettronica o nuovi elementi di rete può essere necessaria tutta una serie di autorizzazioni diverse, ad esempio licenze edilizie, autorizzazioni urbanistiche, ambientali o di altro tipo per proteggere gli interessi generali nazionali e unionali" (considerando 26 direttiva n. 2014/61/UE), impone che le autorità nazionali, regionali o locali sono "tenute a giustificare il rifiuto del rilascio delle autorizzazioni di loro competenza, secondo criteri e condizioni oggettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati" (considerando 28 direttiva n. 2014/61/UE, cit.). Analoghi principi sono espressi nella direttiva n. 2018/1972/UE.

Nel caso di specie il regolamento approvato dal Comune di Bassano del Grappa muove dalla previsione dell'art. 7, comma 2, lett. h) l.r. Veneto. n. 11 del 2004 secondo cui i comuni provvedono a "definire e localizzare le opere e i servizi pubblici e di interesse pubblico nonché quelle relative a reti e servizi di comunicazione, di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003 e successive modificazioni, da realizzare o riqualificare".

Il regolamento è finalizzato a garantire il "corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di comunicazione elettronica, al fine di minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici e - nel contempo - assicurare, nell'esercizio delle proprie competenze previste dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale, il miglior perseguimento di tutti gli interessi pubblici coinvolti nella realizzazione e gestione di tali impianti" (art. 1).

La giurisprudenza formatasi in materia ha chiarito che il legislatore statale, nell'inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall'articolo 8, comma 6 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio.

È stato anche affermato che ai Comuni è consentito - nell'ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

Il Comune di Bassano del Grappa - con puntuale capacità programmatoria e gestionale - ha coinvolto i soggetti interessati nella predisposizione della disciplina regolamentare ed ha anche attivato una procedura selettiva, trasparente, di individuazione dei siti da affidare così garantendo un'istruttoria completa e compiuta che ha poi dato luogo alla novella regolamentare contestata da Wind Tre s.p.a. Ciò peraltro avvalendosi della facoltà di indicare criteri localizzativi e non già di stabilire un divieto generalizzato di allocazione dell'impianto, non ammesso dall'ordinamento.

Il modus operandi dell'Amministrazione, con la garantita partecipazione attiva, ha eliminato il rischio di una scelta irragionevole o non giustificata e, in tal senso, la scelta di inibire attività diverse dalla manutenzione ordinaria nel caso di specie si mostra del tutto in linea con lo schema di esercizio della discrezionalità dell'autorità urbanistica.

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6) CONS. STATO sez. VI, 11 giugno 2024, n. 5215

La legge n. 36 del 22 febbraio 2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"), costituente la base giuridica del regolamento comunale reputato illegittimo con la sentenza gravata,  distingue le competenze dello Stato, delle Regioni e dei Comuni precisando in particolare, all'articolo 4 che "Lo Stato esercita le funzioni relative : a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall'art. 3, comma 1, lettera d) numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizioni di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 1". Il successivo articolo 8 (rubricato "Competenze delle regioni , delle province e dei comuni") prevede, in particolare, al comma 1, che "Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché delle modalità e dei criteri fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile (...)". Il successivo comma 2 dispone che "Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell'ambiente e del paesaggio". Il comma 4 prevede che "Le regioni, nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249". Il comma 6 dispone che "I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4".

Alla stregua del quadro normativo di riferimento, si è osservato (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8141 e sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794): da un lato, che l'assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria implica la loro compatibilità, in via generale, con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale; dall'altro lato, i criteri per la localizzazione, suscettibili di essere adottati dalle Amministrazioni comunali, non possono essere adoperati quale misura, più o meno surrettizia, di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche, che l'art. 4 della legge n. 36 del 2001 riserva allo Stato. In particolare, il legislatore statale, nell'inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha inteso esprimere un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall'articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 687).

Alle Regioni ed ai Comuni è, dunque, consentito - nell'ambito delle rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

Alla luce di tali rilievi, è stato precisato (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 374) che la scelta di individuare un'area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). Tali principi, tuttavia, sono stati espressi tenendo conto dell'interesse nazionale, costituzionalmente rilevante in quanto afferente pure alla libertà della comunicazione, alla copertura del territorio e all'efficiente distribuzione del servizio, non potendo la potestà comunale individuare aree dove collocare gli impianti e impedire la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 13 marzo 2018, n. 1592).

In specie, dall'assimilazione degli impianti de quibus alle opere di urbanizzazione primaria e, dunque, dalla loro compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica e, in ultima analisi, con ogni zona del territorio comunale, si è desunto il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891), essenziale per garantire la copertura dell'intero territorio (comunale e, per sommatoria, nazionale).

Pertanto, i divieti di localizzazione devono ritenersi illegittimi nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull'esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni. Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall'art. 8 legge n. 36 del 22 febbraio 2001 (per quanto di interesse, nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie), risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati.

Nel caso di specie, il Comune di Veroli aveva deciso di consentire l'allocazione di impianti solo nelle aree previste dal regolamento (localizzate a distanza dal centro abitato di Veroli) trasformando i criteri d'individuazione in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge n. 36/2001.

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o, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi)" (così, Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2023, n. 5084).

Su tale linea di indirizzo, la scelta di individuare un'area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non è stata ritenuta legittima, costituendo un limite, non consentito, alla localizzazione e non un criterio consentito di localizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 374).

Sulla medesima lunghezza d'onda i divieti di localizzazione sono stati ritenuti illegittimi dalla giurisprudenza amministrativa nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull'esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni. Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall'art. 8 della legge n. 36 del 22 febbraio 2001, risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2023, n. 5084).

Tali coordinate giurisprudenziali evidenziano l'infondatezza del primo motivo di appello, risultando per tabulas che l'art. 4, comma 1, n. 1 del Regolamento comunale approvato con delibera consiliare n. 26 del 29 aprile 2003, espressamente richiamato nell'ordinanza gravata dinanzi al TAR a supporto del diniego opposto alla odierna appellata, introduce un divieto generalizzato di localizzazione di stazioni radio base "che operano ad una potenza superiore a 20W (ERP totale in antenna)" al di fuori delle "zone agricole ed a distanza di almeno 300 m dall'edificio più vicino".

Tale disposizione regolamentare, come correttamente affermato dal Giudice di primo grado, si pone in palese violazione di legge (in primis, dell'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001), non essendo concesso ai Comuni di introdurre, con proprio regolamento, divieti così ampiamente perimetrati.

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