Fonti Regioni speciali e Province autonome

Rubriche

L’accordo sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non è compatibile con l’articolo 6, paragrafo 2, TUE, né con il Protocollo (n. 8) relativo all’articolo 6, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’Unione europea non può pertanto aderire alla Convenzione sulla base di questo accordo.

Facendo seguito alla domanda proposta dalla Commissione europea ex art. 218(11) TFUE, il 18 dicembre 2014 la Corte di giustizia ha reso un parere negativo circa la compatibilità con il diritto UE del Progetto di accordo di adesione dell’Unione alla CEDU.

Scheda n. 1

Statuti e rappresentanza processuale dell’ente

CASS. CIVILE, sez. VI, 15 ottobre 2015, n. 20905.

La sentenza si richiama all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte in ordine al principio di diritto secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l'ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l'ufficio tributi; mentre il cit. art. 3 bis, comma 2, estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali” (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14637 del 22/06/2007; conformi: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10832 del 28/06/2012, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6807 del 20/03/2009).

Scheda n. 1

Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.

CASS. CIV., Sez. I, 25 febbraio 2015, n. 3807

Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune - ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare - può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune, ma, ove, come nella specie, una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il Sindaco conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell'art. 50 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (cfr. Cass. S.U n. 12868 del 2005 e, tra le numerose altre, anche Cass. n. 4556 del 2012), nel caso pure evidenziata dall'art. 70 del depositato Statuto comunale. 

Scheda n. 1

Gli statuti degli enti locali nel sistema delle fonti.

Cass. civ., sez. lavoro, 21.01.2015, n. 1028

Il Comune ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 110 da parte della sentenza impugnata per avere ritenuto che la norma consentisse di instaurare con il M. validi rapporti contrattuali a tempo determinato sulla scorta di una mera previsione regolamentare.

L'art. 110 TUEL sotto la rubrica "Incarichi a contratto", nella parte che qui interessa stabilisce:

"Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire".

Nella tabella che segue sono riportati gli estremi dei disegni di legge e delle leggi regionali approvate al fine di procedere al riordino delle funzioni provinciali nelle materie di competenza regionale in attuazione della legge n. 56 del 2014 (cd. legge Delrio).

Si tratta – come ampiamente noto ai lettori di questa rivista – di un processo di riordino che è stato più volte ritoccato, se non proprio stravolto, in fase di attuazione dell’art. 1, commi 89 e ss., della stessa Delrio. In un primo momento, con il DPCM del 26.9.2014 si è individuato un complesso percorso di «mappatura» delle funzioni provinciali e di condivisione del riordino fra gli enti territoriali. Pochi mesi dopo, con le disposizioni in materia di personale delle province (e delle città metropolitane) contenute nella legge di Stabilità per il 2015 (23 dicembre 2014, n. 190) e in una successiva circolare del Ministero delle funzione pubblica si è – di fatto – rovesciata la prospettiva contenuta nella legge Delrio in merito al riordino delle funzioni amministrative: non sono più le decisioni (statali e) regionali a determinare il novero delle funzioni di competenza regionale e, quindi, le risorse ed il personale necessario per svolgerle; il legislatore statale ha repentinamente ridotto le risorse per il personale e, su quella base, ha avviato un confuso e controverso percorso di riallocazione del personale eccedente e in tal modo una inevitabile revisione delle funzioni amministrative delle Province.

Alcune Regioni hanno recentemente modificato la propria legge elettorale (ad esempio la Regione Marche), oppure l’hanno senz'altro sostituita (la Regione Toscana), oppure ancora l’hanno approvata per la prima volta (la Regione Lombardia). Fra le varie modifiche e innovazioni se ne segnalano due in particolare.
La prima riguarda l’introduzione di limiti alle candidature. Il principale fra questi limiti è il divieto del terzo mandato consecutivo per il Presidente della Regione, che recepisce il corrispondente principio fondamentale contenuto nella legge quadro 165/2004. In alcuni casi la formulazione della norma regionale fa ritenere che il divieto sia destinato a durare anche se sia trascorsa una legislatura (o più) dalla fine del doppio mandato consecutivo. La legge regionale 9/2013 della Regione Abruzzo stabilisce infatti che «Non può essere candidato Presidente della Giunta chi ha già ricoperto tale carica per due mandati consecutivi» (art. 3.3; v. anche legge regionale 51/2014 Toscana, art. 12.5; previsione analoga nella legge regionale Umbria 4/2015, art. 10).

Osservatorio sulle fonti

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