Sentenza n. 77/2024 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 06/05/2024 – Pubblicazione in G.U. 08/05/2024 n. 19
Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 77/2024 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 36, commi 1 e 2, della legge n. 449/1997 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica). Ad avviso del giudice rimettente, tali disposizioni, il cui scopo dichiarato era offrire un’interpretazione autentica dell’art. 8, comma 12, della legge n. 537/1993, avrebbero attribuito effetto retroattivo a una deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) annullata in sede giurisdizionale, così sterilizzando gli effetti della sentenza definitiva di annullamento. Tra i parametri invocati figuravano il principio di ragionevolezza e gli artt. 24, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.
Sul piano sostanziale, la disposizione asseritamente oggetto di interpretazione autentica aveva introdotto il c.d. regime di sorveglianza, imperniato sul riferimento al prezzo medio europeo, ai fini della determinazione del prezzo delle specialità medicinali. Nel febbraio 1994 il CIPE emanò una delibera per regolare i criteri per il calcolo del prezzo medio europeo dei farmaci; tale delibera fu poi annullata dal Consiglio di Stato. Le disposizioni oggetto della questione di costituzionalità ripresero in via transitoria i contenuti della delibera del CIPE del 25 febbraio 1994.
La Corte ha accolto la questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU. In primo luogo, il giudice delle leggi ha ribadito che a una disposizione può essere riconosciuto carattere interpretativo – al di là del fatto che essa rechi la qualifica “di interpretazione autentica” – soltanto se il suo fine obiettivo è chiarire il senso di nome preesistenti, oppure escludere o enucleare uno dei significati fra quelli ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata. La Corte, inoltre, ha ribadito che ha limitato rilievo, ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi, la distinzione fra norme di interpretazione autentica e norme innovative con efficacia retroattiva; tutt’al più, un’auto-qualificazione erronea può eventualmente costituire un indice dell’irragionevolezza della disposizione impugnata.
Non nuova è anche la particolare delicatezza del controllo di costituzionalità di disposizioni legislative a carattere retroattivo: se è vero che al di fuori della materia penale si tratta di una legittima espressione della discrezionalità del legislatore, nondimeno la Corte deve procedere «ad uno scrutinio particolarmente rigoroso». Questa esigenza si manifesta con particolare forza se l’intervento legislativo retroattivo incide su giudizi ancora in corso, tanto più se in essi è coinvolta un’amministrazione pubblica. A questo riguardo, nella giurisprudenza costituzionale – che ha avuto un importante momento di consolidamento con la sentenza n. 4/2024 – sono stati individuati alcuni elementi sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa. Fra questi si possono citare l’errata e artificiosa auto-qualificazione della disposizione come norma di interpretazione autentica e la chiara finalità di incidere sull’esito di giudizi pendenti. Questa finalità si può desumere dal metodo e dalla tempistica dell’intervento legislativo, ricostruiti anche con l’ausilio dei lavori preparatori. Sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU, inoltre, è necessario valutare se l’intervento del legislatore possa trovare una ragionevole giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali. A questo riguardo, sia il giudice di Strasburgo sia la stessa Corte costituzionale hanno esplicitamente affermato che motivazioni di carattere meramente finanziario, come il contenimento della spesa pubblica o il reperimento di risorse per fare fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso.
Alla luce di queste coordinate, le disposizioni impugnate risultano “evidentemente finalizzate a incidere su giudizi in corso di cui è parte la pubblica amministrazione; giudizi dei quali si vuole vanificare o comunque condizionare l’esito, anche con riferimento ai collegati profili risarcitori”. Ne è derivato, perciò, l’accoglimento della questione di costituzionalità.