Titolo completo "La Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Firenze in riferimento all’art. 76 Cost., dell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, che esclude dalla depenalizzazione, disposta dal comma 1, il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato"
Sent. n. 88/2024 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 14 maggio 2024 – Pubblicazione in G.U. del 15/05/2024, n. 20
Motivo della segnalazione
La sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2024 si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza inerente la definizione dei rapporti tra legge di delega e decreto legislativo, con particolare riferimento all’osservanza dei principi e dei criteri direttivi, fissati dalla prima, da parte del secondo. L’occasione è fornita da due questioni sollevate dal Tribunale di Firenze, il quale dubita della legittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 8 del 2016 e dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, in entrambi i casi per violazione dei principi fissati nella delega in ordine alle ipotesi di reato da sottoporre a depenalizzazione da parte del Governo.
In particolare, la prima delle due disposizioni escluderebbe dalla depenalizzazione i reati indicati dal d.lgs n. 286 del 1998 in materia di immigrazione (da intendere circoscritti, nella questione in oggetto, al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato), in contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto la conferente diposizione di delega (art. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 67 del 2014) avrebbe conferito al Governo il compito di trasformare in illeciti amministrativi i reati puniti con la sola pena pecuniaria, senza prevedere tra le materie escluse dall’intervento quella attinente all’immigrazione. Per quanto riguarda la seconda disposizione, la violazione dell’art. 76 Cost. discenderebbe, ad opinione del giudice rimettente, dalla omessa abrogazione da parte di questa, e della conseguente trasformazione in illecito amministrativo, del reato di cui all’art. 10 bis de d.lgs. n. 286 del 1998.
Secondo la Corte la prima questione è infondata, mentre la seconda è inammissibile.
Quanto alla prima, il Giudice delle leggi osserva, in via generale, che l’obiettivo della legge di delega n. 67 del 2014 è quello di alleggerire il sistema penale, secondo un criterio di ricorso alla pena quale extrema ratio sanzionatoria. Per tale ragione ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili», seguendo due distinti criteri, che la Corte definisce “depenalizzazione cieca” o per “fattispecie indicate nominatim”. In base al primo criterio sarebbero passibili di depenalizzazione tutte quelle fattispecie di reato punite esclusivamente con la pena pecuniaria, fatta eccezione quelle rientranti in alcune materie indicate dal legislatore. In base al secondo, invece, è la stessa delega a indicare puntualmente quelle fattispecie che devono essere oggetto di depenalizzazione ad opera del “legislatore delegato”.
È significativo che il percorso parlamentare che ha portato all’approvazione della legge di delega ha visto diversi mutamenti proprio sul punto inerente i reati in materia di immigrazione. Infatti, mentre in una fase iniziale i reati in materia di immigrazione erano destinati alla depenalizzazione secondo il criterio “cieco”, a seguito dell’approvazione di uno specifico emendamento, si è preferito indicare in maniera puntuale la depenalizzazione della fattispecie dell’art. 10 bis del d.lgs. n. 286 del 1998, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia.
L’ambito in cui dovrebbe essere valutata la mancata abrogazione delle disposizioni incriminatrici in materia di immigrazione, quindi, è quello delle fattispecie indicate nominatim, e non quello del criterio della “depenalizzazione cieca”, come erroneamente ha sostenuto il giudice rimettente. L’erronea individuazione del principio direttivo pertinente non consente di accertare alcun contrasto tra le scelta del legislatore delegato di non abrogare la fattispecie di reato dell’art. 10 bis e il criterio della depenalizzazione delle sole fattispecie punite con la sanzione dell’ammenda o della multa.
Quanto alla seconda questione, la Corte ritiene che il rimettente sia incorso in aberratio ictus, censurando l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, anziché l’art. 3 del d.lgs. n. 8 del 2016, che disciplina la depenalizzazione nominativa dei reati contemplati dalla legislazione speciale. La norma impugnata, infatti, riguarda reati che nulla hanno a che vedere con la materia dell’immigrazione e dà svolgimento al criterio fissato dall’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 67 del 2014 e non a quello previsto dall’art. 2, comma 3, lettera b) (relativo alla specifica fattispecie dell’art. 10 bis).
La norma che il giudice a quo pone ad oggetto della questione, quindi, dà esecuzione al criterio per cui il Governo avrebbe dovuto provvedere alla abrogazione di determinate fattispecie di reato, sostituendole con innovative figure di illecito civile, caratterizzato da una sanzione pecuniaria aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno.
Lamentando la violazione da parte del Governo del criterio direttivo dell’art. 2, comma 3, lett. b) della l. n. 67 del 2014 (relativo all’abrogazione dell’art. 10 bis del d.lgs. n. 286 del 1998), in quanto avrebbe omesso la trasformazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato in illecito amministrativo, il giudice a quo ha incentrato la questione su un oggetto errato – l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 – che, invece, riguarda l’abrogazione di fattispecie incriminatrici di diversa natura e la loro trasformazione in illeciti civili sanzionati pecuniariamente. Da ciò consegue l’inammissibilità della seconda questione sollevata dal Tribunale di Firenze.