Sent. TAR MOLISE sez. I, 18.5.2012, n. 209
Il regolamento comunale non può stabilire limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, misure di cautela o obiettivi di qualità diversi da quelli previsti dal d.m. 10 settembre 1998 n. 380 e dal d.p.c.m. 8.7.2003. Le disposizioni comunali che pretendono di stabilire siffatte misure sono in contrasto con il riparto di attribuzioni stabilito dall'art. 8, comma sesto della legge 22 febbraio 2001 n. 36, a tenore del quale al comune non è assegnata la potestà di determinare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici (potestà invece assegnata allo Stato), ma solo quella di regolamentare “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e di minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi radioelettrici”. Pertanto, il comune, con la propria attività di regolamentazione e pianificazione, non può modificare le distanze minime dagli edifici, né i limiti di esposizione fissati dalla regolamentazione statale, né può imporre limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, specie se ciò avviene in assenza di compiuti rilievi istruttori, risultanze di carattere scientifico, ovvero senza plausibili ragioni giustificative (cfr. Cons. Stato III, 3.3.2010 n. 4280; idem VI, 30.7.2003 n. 4391; idem VI, 26.8.2003 n. 4841).
La disciplina secondaria comunale non può estendersi al punto da imporre, quale limite invalicabile, la sfera delle aree individuate come sensibili, ma deve semplicemente raccordare il potere di assenso edilizio con le esigenze urbanistiche e di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, nonché con quanto determinato a livello statale e a livello regionale, in applicazione dell'art. 8, comma primo della citata legge n. 36/2001 (cfr. Cons. Stato VI, 30.5.2003 n. 2997). In sostanza, quello attribuito ai comuni di disciplinare l'installazione degli impianti non costituisce un potere autonomo, ma deve essere esercitato nel rispetto del quadro normativo di riferimento delineato dalla legge n. 36/2001 (cfr. Cons. Stato VI, 30.5.2003; idem 6.8.2002 n. 4096). Appare evidente, ad avviso del giudice amministrativo, che il comune, nel caso di specie, abbia esercitato poteri che esorbitano dai limiti delle sue attribuzioni di legge, fissando limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli previsti dal regolamento statale. Pertanto, gli impugnati provvedimenti comunali di regolamentazione e pianificazione rappresentano un'ingiustificata limitazione della dislocazione delle infrastrutture di rete su territorio, in contrasto con la loro natura di opere di urbanizzazione primaria e con il regime di particolare interesse e tutela stabilito dall'ordinamento per dette opere, come peraltro riconosciuto dalla Corte costituzionale, con le sentenze 7.10.2003 n. 307 e 7.11.2003 n. 331.
Infine, la regolamentazione comunale non può - come invece fa nella fattispecie - neppure stabilire una procedura aggravata rispetto a quella di cui al citato d.lg. n. 259/2003 (che semplicemente prevede la d.i.a. per gli impianti di potenza inferiore a 20 W e il silenzio-assenso per gli impianti di potenza superiore), poiché ciò contrasta con il principio di non aggravamento del procedimento di cui all'art. 1, comma secondo della legge n. 241/1990, nonché con l'art. 87, comma nono del codice delle comunicazioni elettroniche, a tenore del quale l'ente locale può solo disporre ulteriori forme di semplificazione amministrativa, non già di aggravamento procedimentale.