Sentenza n. 229/2017 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 25-10-2017 – Pubblicazione in G. U. 02/11/2017, n. 44
Motivo della segnalazione
La questione qui segnalata scaturisce dalla q.l.c. promossa dalla Presidenza del Consiglio di ministri e relativa all’art. 19 della legge della Regione siciliana 29 settembre 2016, n. 20 (Disposizioni per favorire l’economia. Disposizioni varie), per violazione dell’art. 14, lettera i), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e degli artt. 11, 117, I e II comma, lettera s), della Costituzione.
La parte ricorrente rileva che la normativa regionale siciliana, differendo il termine stabilito per la denuncia dei pozzi previsto dall’art. 10, I comma, primo periodo, del d. lgs. 12 luglio 1993, n. 275 (Riordino in materia di concessione di acque pubbliche), avrebbe ecceduto i limiti della propria competenza statutaria. Ciò perché la disposizione statale richiamata sarebbe riconducibile a quelle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» che costituiscono un limite invalicabile (anche) per l’esercizio della competenza esclusiva regionale in materia di «acque pubbliche».
La Corte richiama innanzitutto i tratti fondamentali della disciplina legislativa in materia e la propria precedente giurisprudenza (in particolare, le sentt. 246 e 254 del 2009). Per quanto concerne il riparto della competenza fra lo Stato, le regioni e le province autonome, la Consulta evidenzia che la competenza trasversale è applicabile alle regioni speciali e alle province autonome «solo laddove non entrino in gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti ad autonomia differenziata”. Però allo stesso tempo, si sottolinea come la Corte stessa, in più circostanze, abbia preteso dalle regioni speciali (e dalle due province autonome) il rispetto di prescrizioni legislative statali di carattere generale incidenti su materie assoggettate dagli statuti al regime della competenza legislativa piena o primaria, in applicazione del limite delle «norme fondamentali delle grandi riforme economico-sociali» (cfr. il punto 2.2 del ‘considerato in diritto’). Per quel che concerne il caso di specie, è vero che la Sicilia, regione a statuto speciale, menziona, nel proprio statuto, all’art. 14, le «acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale». Ma è altrettanto vero che la disciplina statale «in materia di tutela delle acque deve essere ascritta all’area delle riforme economico-sociali, sia per il suo «contenuto riformatore», sia per la sua «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 323 del 1998).» (punto 2.3 del ‘considerato in diritto’). In particolare, il legislatore «ha seguito un approccio innovativo e globale alla regolazione della materia, orientato non solo alla diretta salvaguardia dell’acqua in quanto tale, ma al governo della risorsa idrica con l’obiettivo di assicurarne un uso sostenibile, equilibrato, equo ed integrato, ai fini della più generale tutela dell’ambiente e degli ecosistemi ad essa correlati»; ma a rilevare è anche «l’importanza vitale della risorsa idrica, essenziale sia per il consumo umano che per la funzione di ausilio alla vita di tutte le specie animali e vegetali» (ibidem). I criteri posti dalla disciplina statale per un uso corretto e razionale delle acque pubbliche possono essere posti unicamente dal legislatore e rispondono «a un interesse unitario che esige un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale e non tollera discipline differenziate nelle sue diverse parti.». In questo contesto, sono riconducibili al novero delle come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» anche le prescrizioni, apparentemente di dettaglio, che siano coessenziali e necessariamente integranti le norme fondamentali del modello regolatorio unitario messo a punto dallo Stato. Con l’adozione dell’art. 10 del d.lgs. n. 275/1993, ha esercitato un potere che, per il contenuto e la funzione di norma fondamentale di riforma economico-sociale della disposizione emanata, vincola anche la potestà legislativa primaria regionale siciliana in materia di acque pubbliche. Peraltro, la disciplina regionale equivale, sostanzialmente, «all’introduzione di una surrettizia e generalizzata forma di condono delle estrazioni abusive perpetrate ‒ in elusione finanche dei dispositivi di misurazione delle portate delle acque emunte previsti all’art. 95 del d.lgs. n. 152 del 2006 ‒ sul territorio siciliano nel corso di un intero decennio, vanificando l’azione di controllo e di repressione delle autorità preposte, con il rischio di alimentare ulteriormente il fenomeno dell’abusivismo.» (cfr. ‘considerato in diritto’, punto 2.4). La disciplina regionale viene quindi dichiarata incostituzionale, restando assorbite le doglianze residue.