Attività consultiva del Consiglio di Stato

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Titolo completo "È costituzionalmente illegittimo l’art. 18 della l. n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge o la persona alla quale è unita civilmente o con la quale stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né ragioni giudiziarie"

Sent. n. 10/2024 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 26 gennaio 2024 – Pubblicazione in G.U. del 31/01/2024, n. 5

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 10 del 2024 la Corte costituzionale torna a occuparsi di una questione di legittimità della disposizione dell’ordinamento penitenziario (l. n. 354 del 1975) che impone lo svolgimento dei colloqui con il coniuge “a vista” del personale di custodia, impedendo di fatto l’intimità della relazione affettiva. La Consulta, investita in passato di analoga questione, ne aveva dichiarato l’inammissibilità con la sentenza n. 301 del 2012, sottolineando l’incidenza del proprio intervento sulla discrezionalità del legislatore e il vuoto normativo nel quale si sarebbe collocata una eventuale pronuncia ablativa.

Sentenza n. 4/2024 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito dell’11/01/2024 – Pubblicazione in G.U. 17/01/2024 n. 3

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 4/2024 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato [legge finanziaria 2001]). La disposizione impugnata prevedeva che l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992 “si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità”, fatta “salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge”. Il giudice rimettente lamentava la violazione dei principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché del diritto a un equo processo e alla parità delle parti in giudizio. La disposizione impugnata, infatti, avrebbe mirato a condizionare retroattivamente l’esito dei ricorsi collettivi pendenti, a fronte di un orientamento giurisprudenziale che si era già consolidato. I parametri invocati, perciò, erano gli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU).

Sent. n. 227/2023 – giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato

Deposito del 28/12/2023 – Pubblicazione in G.U. 03/01/2024, n. 1

 Motivi della segnalazione

Con questa sentenza la Corte costituzionale ha deciso un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato con ricorso del Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, del Giudice per le indagini preliminari e del GUP presso il medesimo Tribunale, che avrebbero violato, per il ricorrente, le prerogative costituzionali poste a presidio dell'esercizio della funzione parlamentare dall’art. 68, comma 3, della Costituzione, anche alla luce della sua attuazione ad opera degli artt. 4 e 6 della legge n. 140/2023.

Tra il novembre 2023 e il gennaio 2024 la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato si è trovata ad affrontare nuovamente una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità ex art. 68, primo comma Cost. relativa alle opinioni espresse a mezzo social network da un senatore e dalla possibilità di contestualizzazione di queste ultime nell’ambito delle attività della Camera di appartenenza sotto il profilo della sussistenza del doppio nesso funzionale e temporale, così come definite dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

1. Gli ordini del giorno di istruzione al Governo[1] costituiscono, insieme alle mozioni e alle risoluzioni, uno strumento a disposizione dei singoli parlamentari per indirizzare la politica di Governo. Essi possono essere discussi e approvati nel corso di un procedimento legislativo ma anche in occasione dell’esame di altri atti di indirizzo e, per tale motivo, sono considerati atti parlamentari accessori.

Secondo la prassi consolidata in entrambi i rami del Parlamento, il rappresentante del Governo è chiamato a pronunciarsi sugli ordini del giorno di istruzione al Governo avendo a disposizione tre opzioni: può esprimere parere favorevole, parere contrario oppure accoglierli come raccomandazione. Nel primo caso, gli ordini del giorno non vengono posti in votazione, intendendosi soddisfatto l’obiettivo del presentatore, benché tali atti di indirizzo comportino un mero vincolo politico per il Governo; nel secondo caso, invece, il primo firmatario dell’atto, sempre che sia presente, può richiederne la votazione facendo esprimere l’Assemblea sulla questione posta all’attenzione del Governo; infine, nell’ipotesi in cui l’ordine del giorno sia accolto come raccomandazione il proponente può decidere se accettare il generico impegno assunto dal Governo a dar seguito all’atto oppure porlo in votazione lo stesso, con il rischio che venga respinto dall’Assemblea.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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