Ancora sulla rilevanza dei diritti fondamentali - quali garantiti dalla Carta UE e dalle costituzioni nazionali - nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo
Nell’arco di poco meno di un mese, la Corte di giustizia, nella composizione della Grande Sezione, ha deliberato due sentenze in cui emerge ancora il delicato rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali della persona e una cooperazione giudiziaria efficace ed efficiente nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo, istituito dalla decisione quadro 2002/584/GAI.[1] Nella sentenza Radu, emessa il 29 gennaio 2013, la Corte era sostanzialmente chiamata a chiarire se l’omessa audizione della persona destinataria di un mandato d’arresto europeo finalizzato all’esercizio dell’azione penale costituisce una violazione dei diritti garantiti dagli articoli 47 e 48 della Carta, idonea a giustificare un eventuale rifiuto di eseguire il mandato al di là dei motivi di non esecuzione, obbligatori e facoltativi, previsti dalla decisione quadro. Invece, nella sentenza Melloni, emessa il 26 febbraio 2013 e originata da un rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunal Constitucional (Corte costituzionale spagnola), la Corte era chiamata ad esaminare la compatibilità dell’art. 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI, nella versione modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI,[2] con gli articoli 47 e 48, par. 2, della Carta. Inoltre, il giudice del rinvio chiedeva anche alla Corte di interpretare l’art. 53 della Carta, onde chiarire se il richiamo al livello di protezione garantito dalle costituzioni nazionali - e più alto rispetto a quello della Carta stessa - deve essere interpretato come una deroga al principio del primato del diritto dell’Unione europea.