Fonti Regioni speciali e Province autonome

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Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 22 dicembre 2022, Ministre de la Transition écologique e Premier ministre (Responsabilité de l’État pour la pollution de l’air), causa 61/21[1], ECLI:EU:C:2022:1015

Nella sentenza Ministre de la Transition écologique, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, si è pronunciata in via pregiudiziale, per la prima volta, circa le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro può essere ritenuto responsabile per i danni alla salute dei suoi cittadini, causati dalla violazione di obblighi discendenti dal diritto dell’Unione in materia ambientale. La Corte di giustizia ha, in particolare, valutato se la normativa dell’Unione in questione fosse preordinata ad attribuire diritti ai singoli. Essa tuttavia ha ritenuto che sebbene le misure considerate ponessero obblighi abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri dovevano assicurare, esse perseguivano un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso e pertanto non contenevano alcuna attribuzione esplicita o implicita di diritti la cui violazione potesse far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per i  danni causati ai singoli.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 giugno 2023, O.G., Causa C‑700/21, ECLI:EU:C:2023:444

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, pronunciandosi a seguito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, ha affermato che il principio di uguaglianza dinanzi alla legge di cui all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osta alla normativa di uno Stato membro che limita il beneficio di un motivo facoltativo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo ai cittadini nazionali e di altri Stati membri, escludendo invece in modo automatico qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro. La Corte di giustizia ha altresì precisato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, al contrario, poter procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione del cittadino di paese terzo destinatario del mandato (legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici, natura, durata e condizioni del soggiorno). Questa valutazione deve condurre a stabilire l’esistenza di un sufficiente grado di integrazione del cittadino di paese terzo nello Stato ospitante, cosicché l’esecuzione in detto Stato membro della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue successive possibilità di reinserimento sociale.

Sentenza della Corte di giustizia del 17 maggio 2023, BK e ZhP (Suspension partielle de la procédure au principal), causa 172/22, ECLI:EU:C:2023:416

Nella sentenza BK, la Corte di giustizia ha chiarito se e a quali condizioni il giudice del rinvio possa continuare a esaminare la causa di cui è investito, anche dopo aver sollevato un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia e in attesa della sua pronuncia.

Il lungo e quanto mai incerto percorso di adesione formale dell’Unione alla Cedu ha raggiunto recentemente una tappa significativa davvero non scontata. Il 17 marzo scorso è stato concluso un nuovo progetto di accordo grazie al quale l’ipotesi di un’adesione torna ad essere una prospettiva realistica[1].

L’art. 6, par. 2, TUE[2] stabilisce un vero e proprio obbligo a carico dell’Unione di procedere in questa direzione e, in infetti, un primo tentativo si era registrato già all’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Come si ricorderà, il negoziato protrattosi per circa tre anni aveva portato nel luglio del 2013 all’adozione del primo progetto di accordo di adesione. Quest’ultimo, sottoposto dalla Commissione al vaglio della Corte di giustizia, attraverso lo strumento previsto dall’art. 218, par. 11, TFUE, era stato dichiarato incompatibile con il diritto dell’Unione. Per il suo contenuto, il parere 2/13[3] ha costituito una battuta di arresto di portata tale da determinare l’abbandono del negoziato per circa sei anni, facendo addirittura dubitare della possibilità di realizzare l’adesione formale alla Cedu. La finalizzazione del nuovo progetto di accordo è dunque un risultato provvisorio ma di assoluta rilevanza nel quadro dei rapporti dell’Unione con la Convenzione.

Con la sentenza del 4 luglio 2023, n. 159, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo all’art. 43, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con legge 29 giugno 2022.

La decisione dei giudici costituzionali si inserisce nella lunga vicenda dei risarcimenti nei confronti delle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale. Ricordiamo brevemente infatti che nonostante la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2012 (CIG, Jurisdictional immunities of the State (Germany v. Italy: Greece intervening)) e in forza della sentenza della Consulta n. 238 del 2014, le corti interne italiane hanno continuato ad accogliere ricorsi contro la Germania in violazione dell’immunità cognitiva ed esecutiva della stessa.

Con la sentenza n. 8 del 2023 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili, per erroneità del presupposto interpretativo, le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Lecce, sez. lav., in relazione all’art. 2033 c.c. nella parte in cui la norma non prevede l’irripetibilità dell’indebito retributivo o previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) quando le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza di dette somme. In specie, a giudizio dei rimettenti, in presenza di un legittimo affidamento del percettore, la pretesa restitutoria da parte del soggetto pubblico si porrebbe in violazione degli artt. 11 e art. 117, primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. Addiz. CEDU.  

Con la sentenza n. 192 del 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1988, n. 498, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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