Interna corporis degli organi costituzionali

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L’art. 281, paragrafo 2, TFUE prevede la possibilità di modificare lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea senza dover ricorrere alla procedura di revisione dei Trattati, benché lo stesso sia contenuto nel Protocollo n. 3 e abbia, pertanto, rango di diritto primario. La disposizione citata consente, in particolare, al Parlamento europeo e al Consiglio di adottare tali modifiche deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione, ovvero su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia.

Lo scorso dicembre, la Corte di giustizia ha presentato una domanda ai sensi dell’art. 281, paragrafo 2, TFUE volta a introdurre due modifiche, entrambe animate dall’esigenza di ridurre il carico di lavoro della Corte stessa, nell’interesse della buona amministrazione della giustizia e dell’efficace adempimento della funzione affidata a tale istituzione (ovvero, “[assicurare] il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati”: cfr. Articolo 19, par. 1, TUE).

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 18 aprile 2023, E.D.L., Causa C‑699/21, ECLI: ECLI:EU:C:2023:295

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, statuendo in seguito a rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, si è nuovamente pronunciata sul rapporto tra fiducia reciproca e tutela dei diritti fondamentali e, in particolare, sulla situazione in cui la protezione di tali diritti impone di non eseguire un mandato di arresto europeo per una ragione non prevista dalla decisione quadro in materia. La pronuncia riguarda, nello specifico, l’ipotesi in cui il ricercato sia affetto da una grave patologia cronica e di durata indeterminata e la consegna possa esporlo al rischio di subire una riduzione significativa della sua aspettativa di vita o un deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del suo stato di salute, tali da configurare un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Grande Sezione ha, innanzitutto, precisato che un’interpretazione della decisione quadro alla luce di tale disposizione, impone di ritenere che, nell’ipotesi richiamata, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a sospendere temporaneamente la consegna e richiedere all’autorità emittente garanzie volte a evitare il materializzarsi del suddetto rischio. Qualora, alla luce delle informazioni ricevute, tale rischio non possa escludersi entro un termine ragionevole, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà rifiutare di dare esecuzione al mandato.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 22 dicembre 2022, Ministre de la Transition écologique e Premier ministre (Responsabilité de l’État pour la pollution de l’air), causa 61/21[1], ECLI:EU:C:2022:1015

Nella sentenza Ministre de la Transition écologique, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, si è pronunciata in via pregiudiziale, per la prima volta, circa le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro può essere ritenuto responsabile per i danni alla salute dei suoi cittadini, causati dalla violazione di obblighi discendenti dal diritto dell’Unione in materia ambientale. La Corte di giustizia ha, in particolare, valutato se la normativa dell’Unione in questione fosse preordinata ad attribuire diritti ai singoli. Essa tuttavia ha ritenuto che sebbene le misure considerate ponessero obblighi abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri dovevano assicurare, esse perseguivano un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso e pertanto non contenevano alcuna attribuzione esplicita o implicita di diritti la cui violazione potesse far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per i  danni causati ai singoli.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 giugno 2023, O.G., Causa C‑700/21, ECLI:EU:C:2023:444

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, pronunciandosi a seguito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, ha affermato che il principio di uguaglianza dinanzi alla legge di cui all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osta alla normativa di uno Stato membro che limita il beneficio di un motivo facoltativo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo ai cittadini nazionali e di altri Stati membri, escludendo invece in modo automatico qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro. La Corte di giustizia ha altresì precisato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, al contrario, poter procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione del cittadino di paese terzo destinatario del mandato (legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici, natura, durata e condizioni del soggiorno). Questa valutazione deve condurre a stabilire l’esistenza di un sufficiente grado di integrazione del cittadino di paese terzo nello Stato ospitante, cosicché l’esecuzione in detto Stato membro della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue successive possibilità di reinserimento sociale.

Sentenza della Corte di giustizia del 17 maggio 2023, BK e ZhP (Suspension partielle de la procédure au principal), causa 172/22, ECLI:EU:C:2023:416

Nella sentenza BK, la Corte di giustizia ha chiarito se e a quali condizioni il giudice del rinvio possa continuare a esaminare la causa di cui è investito, anche dopo aver sollevato un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia e in attesa della sua pronuncia.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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