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Con la recente sentenza n. 33 del 2021, la Corte Costituzionale  ha esaminato una serie di questioni di legittimità costituzionale relative allo stato civile dei bambini nati attraverso la pratica della maternità surrogata che, come è noto, nel nostro ordinamento è proibita dall’art. 12, comma 6, della Legge 40/2004, ai sensi del quale: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. Come vedremo, la sentenza in commento si segnala per aver rivolto un forte monito al legislatore sull’esigenza di assicurare l’interesse del minore ad avere due genitori, all’unisono con la sentenza n. 32 del 2021 che riguarda il fronte della fecondazione eterologa senza surroga di maternità[1].

Sentenza della Corte di giustizia (grande sezione) del 2 settembre 2021, causa C-350/20 INPS (Allocations de naissance et de maternité pour les titulaires de permis unique)

Su rinvio della Corte costituzionale, a sua volta prioritariamente adita dalla Suprema Corte di Cassazione, la Corte di giustizia ha chiarito che il diritto dell’Unione, in particolare l’art. 12, par. 1, della direttiva 2011/98 sul permesso unico, osta a disposizioni nazionali – quali l’art. 1, comma 125, della legge del 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015) e l’art. 74 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) – che subordinano la concessione di prestazioni previdenziali ai sensi del regolamento (CE) 883/2004 – nella specie, l’assegno di natalità e l’assegno di maternità – alla condizione che i richiedenti cittadini di paesi terzi siano soggiornanti di lungo periodo.

Corte europea dei diritti dell’uomo (Sezione Prima), sentenza 20 maggio 2021, Caso No. 5312/11, BEG S.p.A. c. Italia

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 20 maggio 2021 afferma la responsabilità dello Stato per violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per aver dato effetto ad un lodo arbitrale pronunciato con il concorso di un arbitro privo della necessaria indipendenza. Il diritto ad un equo processo non è invocabile unicamente davanti all’autorità giurisdizionale dello Stato, ma anche in giudizi arbitrali, che presuppongono la rinuncia alla giustizia ordinaria. Il fatto che uno degli arbitri avesse rivestito importanti cariche nella società controllante una delle parti dell’arbitrato e l’avesse assistita in un procedimento giudiziario determina la mancanza d’indipendenza e la responsabilità dello Stato per aver dato effetto al lodo arbitrale. 

Titolo completo: La Corte di Giustizia, pronunciandosi sulla conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE, riconosce l’ammissibilità del raggiungimento, prima dell’adozione della decisione di conclusione da parte del Consiglio, di un “comune accordo” degli Stati membri a esserne vincolati

Parere della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 ottobre 2021, Convenzione di Istanbul, parere 1/19

La Corte di Giustizia, nel parere adottato sulla conclusione da parte dell’UE della Convenzione relativa alla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ha precisato che i Trattati vietano al Consiglio di subordinare l’adozione della decisione relativa alla conclusione di tale Convenzione al previo accertamento di un “comune accordo” tra gli Stati membri a esserne vincolati, nelle materie rientranti nella loro competenza. Tuttavia, i Trattati non vietano al Consiglio di attendere, prima dell’adozione della decisione di conclusione, il raggiungimento del suddetto “comune accordo” tra gli Stati membri. La Corte ha, inoltre, individuato negli articoli 78 TFUE (politica di asilo e non respingimento), 82, par. 2, 84 TFUE (cooperazione giudiziaria in materia penale) e 336 TFUE (statuto dei funzionari) le basi giuridiche sostanziali della decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione.

Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza 2 febbraio 2021, Causa C-481/19, DB c. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), ECLI:EU:C:2021:84.

La sentenza Consob contribuisce ad arricchire il dialogo tra la Corte di giustizia e la Corte costituzionale italiana, confermando l’importanza dello strumento del rinvio pregiudiziale per la risoluzione di potenziali contrasti tra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale. Nella sentenza in esame, la Corte di giustizia ha stabilito che gli articoli 47 e 48 della Carta assicurano il diritto al silenzio delle persone fisiche sottoposte a un procedimento amministrativo per abusi di mercato allorché le dichiarazioni rese da queste possano contribuire a farne emergere la responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo e/o alla formulazione di un’accusa penale a loro carico. Ciò posto, ha chiarito che le disposizioni di diritto dell’Unione oggetto del rinvio pregiudiziale possono essere interpretate in maniera conforme agli articoli 47 e 48 della Carta, consentendo quindi allo Stato membro di non sanzionare la persona fisica che si avvale del diritto al silenzio nell’ambito del procedimento amministrativo suddetto.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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