Fonti delle Regioni ordinarie

Rubriche

Raggiunta una nuova tappa della «Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali». 

Con l’adozione della Direttiva 2013/48/UE,[1] che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 27 novembre 2016, l’Unione europea ha raggiunto una nuova tappa della «Tabella di marcia» di cui alla risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 30 gennaio 2009[2]. A sua volta, la Tabella si pone nel solco del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, che ha affermato che il principio del reciproco riconoscimento delle sentenze e delle altre decisioni giudiziarie deve diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione europea in materia civile e penale. A poca distanza, l’idea che il reciproco riconoscimento «deve consentire di rafforzare non solo la cooperazione tra Stati membri, ma anche la protezione dei diritti delle persone» veniva evidenziata nel programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali[3]. A tal proposito, al considerando 51 della Direttiva 2013/48/UE si legge che, «[s]ebbene gli Stati membri siano firmatari della CEDU e del [Patto internazionale sui diritti civili e politici], l’esperienza ha dimostrato che questa sola circostanza non sempre assicura che ciascuno di essi abbia un grado sufficiente di fiducia nei sistemi di giustizia penale degli altri Stati membri».

La Corte di giustizia conferma l'interpretazione (restrittiva) della nozione di «atto regolamentare» di cui all'art. 263(4) TFUE accolta dal Tribunale

Una tra le più lungamente attese novità introdotte dal Trattato di Lisbona è sicuramente l’ampliamento (benché moderato) dei requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche. L’articolo 230, quarto comma, TCE recitava: «[q]ualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente».

Dopo il Tribunal Constitucional spagnolo[1] e il Conseil Constitutionnel francese,[2] nel luglio 2013 è stata la Corte costituzionale italiana a porre definitivamente fine (almeno all’apparenza) all’iniziale atteggiamento di chiusura manifestato nei confronti del principale strumento di dialogo con la Corte di giustizia, il rinvio pregiudiziale. Invero, e a differenza del giudice costituzionale spagnolo e francese, nel caso della nostra Consulta non si è trattato di una ‘prima volta’ in assoluto. Come ben noto, dopo una prima fase in cui la Corte costituzionale aveva tout court escluso la possibilità di ‘vestire’ la qualifica di «giurisdizione nazionale» di cui all’art. (ora) 267 TFUE (cfr. ordinanza 29 dicembre 1995 n. 536), con l’ordinanza 13 febbraio 2008, n. 103,[3] era stato proposto un rinvio pregiudiziale nell’ambito di un procedimento di legittimità costituzionale in via principale. Con l’ordinanza n. 207 del 3 luglio 2013[4] la Corte costituzionale ha per la prima volta proposto un rinvio pregiudiziale nell’ambito di un ricorso di legittimità costituzionale in via incidentale, in tal modo abbattendo l’ultimo limite che la stessa sembrava voler salvaguardare nell’ordinanza del 2008.

Il 26 giugno 2013 sono stati adottati quattro atti - due regolamenti e due direttive - che procedono ad un riassetto del Sistema Europeo Comune di Asilo, accomunati dall’intento di stabilire - secondo quanto si legge nel MEMO/13/862 della Commissione europea, ‘EU action in the fields of migration and asylum’, 9 ottobre 2013:  - «common high standards and stronger co-operation to ensure that asylum seekers are treated equally in an and fair system – wherever they apply». 

Ormai da alcuni anni è possibile reperire il testo della Gazzetta ufficiale dell’Unione europea sul sito EUR-Lex. Tuttavia, è solo dal 1° luglio 2013 - data di entrata in vigore Regolamento (UE) n. 216/2013 del Consiglio del 7 marzo 2013  - che (in linea di principio, soltanto) la versione elettronica della Gazzetta è autentica e produce effetti giuridici.

L’art. 4 della direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (G.U.U.E. 2002 L 201, p. 37), stabilisce che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico sono tenuti a notificare alle autorità nazionali competenti - e, in alcuni casi, anche agli abbonati e alle altre persone interessate - le «violazioni dei dati personali», definite dall’art. 2, lettera i), della medesima direttiva come quelle violazioni di sicurezza che comportano accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la rivelazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, memorizzati o comunque elaborati nel contesto della fornitura di un servizio di comunicazione accessibile al pubblico nell’Unione. Al paragrafo 5, l’art. 4 conferisce alla Commissione la facoltà di adottare misure tecniche di attuazione riguardanti le circostanze, il formato e le procedure applicabili alle prescrizioni in materia di informazioni e comunicazioni di cui allo stesso articolo. Nell’esercizio di tale facoltà è stato adottato il Regolamento n. 611/2013, che disciplina le modalità ed i termini nel rispetto dei quali i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico devono provvedere alla notifica delle violazioni di dati personali come sopra definite.

La sentenza della Corte di giustizia del 26 settembre 2013 nella causa C-476/11, HK Danmark v. Esperian, presenta almeno due aspetti di interesse. In primo luogo, si tratta della prima causa in cui viene sollevata la questione dell’interpretazione dell’art. 6, par. 2, della Direttiva 2000/78/CE (che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro G.U.U.E. 2013 L 303, p. 16). Tale disposizione stabilisce che in alcune circostanze gli Stati membri possono prevedere che una disparità di trattamento non costituisce una discriminazione in ragione dell’età: testualmente, «gli Stati membri possono prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso».

Due recenti sentenze CEDU condannano l'Italia per la previsione della pena del carcere ai giornalisti.

1. Con le recenti sentenze rese nei casi Belpietro v. Italy e Ricci v. Italy la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver violato l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la previsione della pena del carcere per la commissione di reati a mezzo stampa e radiodiffusione.

Nella parte relativa alle "Fonti Internazionali" la Rubrica si propone di monitorare gli atti normativi che, direttamente o indirettamente, presentano ricadute in materia internazionale, evidenziando le più significative novità nei rapporti tra fonti nazionali e tematiche internazionali. Essa intende, in particolare, portare l'attenzione sugli atti emanati dal legislatore nazionale al fine di adempiere agli obblighi internazionali dello Stato italiano, nonché sugli atti normativi che, pur adottati per rispondere ad esigenze interne, acquisiscono portata tale da incidere su problematiche di rilievo internazionale.

 

SOMMARIO

1)  La recenti misure di contrasto alla pirateria

2)  La sentenza della Cedu nel caso Tarantino: compatibilità della legislazione nazionale in materia di numero chiuso con la convenzione europea dei diritti umani

3)

Identità di genere e scioglimento del matrimonio: la Cassazione rinvia alla Consulta alcune questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della Legge 164 del 1982

4)    Le recente modifica concernente l'esercizio della giurisdizione italiana sulle forze nato e la grazia concessa dal Capo dello Stato al col. Joseph L. Romano condannato per l'extraordinary rendition di Abu Omar

 

L'Italia non ha correttamente trasposto l'art. 5 della direttiva 2000/78/ce in materia di provvedimenti da adottarsi da parte di tutti i datori di lavoro in favore dei lavoratori disabili

Nella sentenza del 4 luglio 2013 nella causa C-312/11,[1] resa al termine di una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione, la Corte di giustizia ha dichiarato che l’Italia, non avendo imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente l’art. 5 della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate, inter alia, sull’handicap, con riferimento all’occupazione e alle condizioni di lavoro.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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