Rubriche

La modifica delle disposizioni cui il referendum abrogativo si riferisce non comporta il blocco della corrispondente richiesta se l’intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio

Sentenza n. 17/2016 – Giudizio sull’ammissibilità dei referendum

Deposito del 02/02/2016 Pubblicazione in G. U. 03/02/2016 n. 5

 

Motivo della segnalazione

Con ordinanza del 26 novembre 2015, l’Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dall’art. 35, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, “Misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

L’Ufficio centrale per il referendum ha attribuito al quesito la seguente denominazione: «Sesta richiesta referendaria. Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Abrogazione della norma di esenzione da tale divieto per i procedimenti concessori in corso al 26 agosto 2010 e per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi a titoli abilitativi».

Estensione della questione di costituzionalità al nuovo testo della disposizione impugnata allorché la modifica legislativa non sia tale da soddisfare la Regione ricorrente o da alterare i termini del quadro normativo

Sentenza n. 21/2016 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 11/02/2016; Pubblicazione in G. U. 17/02/2016

 

Motivo della segnalazione

Con ricorso notificato il 12 gennaio 2015 e depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2015, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.

La Corte e il … parametro incostituzionale

Sentenza n. 197/2015 – giudizio di costituzionalità in via principale

Deposito del 09/10/2015 - Pubblicazione in G. U. 14/10/2015 n. 41

 

Motivo della segnalazione

La Corte costituzionale si è trovata a decidere della costituzionalità della disciplina dettata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la L. 3 del 9 marzo 2012; più in particolare, sono stati sottoposti al vaglio del giudice delle leggi i primi due commi dell’art. 1 della legge regionale appena menzionata. La disposizione impugnata interviene in materia di autonomie locali, dettando norme sulla competenza regionale a proposito di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Al comma 1, essa stabilisce che – in conformità all’art. 4, primo comma, numero 1-bis dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (l. cost. 1/1963), e agli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 9/1997 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), al fine di valorizzare gli strumenti di autonomia normativa e le forme di rappresentanza delle comunità locali, perseguendo il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica – nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si applica, nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, la legislazione regionale in materia elettorale, sugli organi di governo e sulle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. Al comma 2 si aggiunge che, fino al recepimento nell’ordinamento regionale della riforma costituzionale appena ricordata, sono confermate le vigenti modalità di elezione, la formazione e la composizione degli organi di governo dei Comuni e delle Province del Friuli-Venezia Giulia, nonché le funzioni comunali e provinciali e le relative modalità di esercizio. Secondo la ricostruzione prospettata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al momento dell’impugnazione, la legge regionale avrebbe dettato una disciplina difforme rispetto a quanto previsto dal d.l. 201/2011 (conv. con modificazioni dalla l. 214/2011), contenente principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica; così facendo, quindi, la disciplina regionale sarebbe stata in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Sulla violazione della legge delega che attua una direttiva dell’UE

 

Sentenza n. 210/2015  – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

 

Deposito del 29/10/2015 – Pubblicazione in G. U. 04/11/2015  n. 44

 

 

Motivo della segnalazione


Con ordinanza del 17 febbraio 2014, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), il quale stabilisce − per le emittenti televisive a pagamento − limiti orari alla trasmissione di spot pubblicitari più restrittivi di quelli previsti per le emittenti cosiddette “in chiaro”. Ad avviso del giudice rimettente, la previsione si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con l’art. 76 Cost., poiché tale misura sarebbe del tutto innovativa e non giustificata da alcuna previsione della legge delega, né da una ratio implicita della direttiva cui la disposizione dovrebbe dare attuazione. Viene, inoltre, denunciato il contrasto con l’art. 3 Cost., per l’intrinseca irrazionalità della disposizione, che introdurrebbe un’ingiustificata differenziazione tra i limiti orari di affollamento pubblicitario applicabili alle emittenti televisive a pagamento e quelli applicabili alle emittenti in chiaro, nonostante l’unicità del mercato di riferimento; ed infine, con l’art. 41 Cost., poiché la disposizione inciderebbe sulla libertà di iniziativa economica delle emittenti televisive a pagamento, in difetto di una chiara ed inequivoca finalità sociale che giustifichi l’intervento normativo in questione.

Il principio dell’accordo nei rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni a statuto speciale non ha rango costituzionale e può, pertanto, essere derogato entro determinati limiti

Sentenze nn. 238 e 239/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 19 novembre 2015 – Pubblicazione in G.U. del 25/11/2015, n. 47

 

Motivo della segnalazione

Le due pronunce oggetto di segnalazione si collocano nell’ampio filone giurisprudenziale  concernente l’applicabilità, nei riguardi delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, delle disposizioni statali recanti principi di coordinamento della finanza pubblica.

Entrambe le pronunce originano dai ricorsi presentati dalle regioni ad autonomia speciale e dalle province autonome avverso, rispettivamente, l’articolo 1, commi 526 e 527, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), e l’articolo 1, commi 499, 500, 502 e 504 della medesima legge. Tuttavia, avendo le ricorrenti nelle more del giudizio raggiunto accordi con lo Stato aventi ad oggetto le disposizioni sopra citate, la Corte ha dichiarato cessata la materia del contendere nei riguardi di tutte le ricorrenti, fatta eccezione per la regione Sicilia che ha ritenuto, nonostante l’avvenuta conclusione di un accordo, di non rinunciare ai ricorsi presentati avverso i commi 499 e 526 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014).

Il principio di retroattività della lex mitior non concerne le norme penali di natura processuale

Sentenza n. 240/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 26 novembre 2015 – Pubblicazione in G.U. del 02/12/2015, n. 48

  

Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 240 del 2015 la Corte costituzionale, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate dal Tribunale ordinario di Torino in riferimento agli articoli 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’articolo 7 della CEDU, fornisce alcune precisazioni in ordine all’ambito di applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole.  

Il ricorso sollevato dal giudice rimettente originava dalla recente introduzione, ad opera della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di sospensione di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio), dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli adulti, in base al quale l’imputato ha accesso ad un programma di trattamento che prevede una serie di attività obbligatorie, quali l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, l’attuazione di condotte riparative volte a eliminare le conseguenze dannose del reato, il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, un’attività di mediazione con la vittima del reato. L’esito positivo della prova determina l’estinzione del reato per il quale si procede.

Interpretazione autentica e limiti all’efficacia retroattiva delle leggi: necessario “appiglio semantico” fra la norma interpretativa e la norma oggetto di interpretazione (in conformità al canone del  “significato proprio delle parole” di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale) 

Sentenza n. 260/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 11/12/2015 – Pubblicazione in G. U. 16/12/2015

 

Motivo della segnalazione

La Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale di una norma sedicente di interpretazione autentica, pronuncia alcune affermazioni di portata generale, riguardanti la natura della relazione che deve sussistere fra una norma asseritamente interpretativa e la norma oggetto di interpretazione affinché possa concludersi che la prima svolga effettivamente la funzione dichiarata. Dalle argomentazioni svolte si evince chiaramente che fra le due norme deve esservi un “appiglio semantico”: la norma di interpretazione autentica è tenuta a rispettare il canone ermeneutico generale del “significato proprio delle parole” di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale e pertanto deve “enunciare una pausibile variante di senso” della norma oggetto di interpretazione. Diversamente, “non si può ritenere [...] che la norma interpretativa sia servita al legislatore, per emendare un’imperfezione del testo originario, ripristinando il significato autentico della disposizione interpretata, o che abbia risolto contrasti interpretativi, forieri di incertezze rilevanti”, bensì può concludersi che essa è servita ad introdurre una nuova disciplina a cui il legislatore pretende di attribuire illegittimamente efficacia retroattiva, allo scopo di  impedire, in giudizi in corso e con riferimento a vicende non ancora definite, l’applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati rispettosi del significato proprio delle parole che compongono la norma interpretata (scilicet perché si tratta di orientamenti che ostano al conseguimento del fine perseguito mediante la nuova disciplina sedicente interpretativa). Sicché in simili casi dovrà riconoscersi la lesione, ad un tempo, dell’ “affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica” e delle “attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria”. Questi i principi che la lettura della motivazione permette di estrapolare (cfr., in particolare i  nn. 5 e 6 del considerato in diritto, da cui sono tratte le citazioni), coerenti con quanto affermato nella precedente giurisprudenza costituzionale in materia di interpretazione autentica e di limiti all’efficacia retroattiva delle leggi (cfr., in particolare, sent. n. 209/2010, richiamata al cons. n. 6 della sentenza in commento, nonché le decisioni anteriori richiamate in quella pronuncia).

Introduzione

1. Con riguardo al periodo esaminato (1° novembre 2015-29 febbraio 2016) merita di essere in primo luogo menzionata la decisione dei capi di Stato e di governo, riuniti in sede di Consiglio europeo a Bruxelles il 18 e 19 febbraio 2016, contenente misure volte a scongiurare la c.d. Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

In particolare, per ciò che specificamente interessa in questa sede, la decisione dispone l’introduzione di un meccanismo di cd. cartellino rosso in capo ai parlamenti nazionali. Ciò significa che ove i pareri motivati di questi ultimi sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo dell’Unione di cui al Protocollo n. 2 al Trattato di Lisbona, rappresentino più del 55% dei voti attributi ai parlamenti stessi, il Consiglio è tenuto a svolgere una discussione esauriente su tali pareri e sulle conseguenze da trarne. Il Consiglio dovrà conseguentemente interrompere l’esame del progetto di atto legislativo in questione, a meno che il progetto non sia modificato per rispondere alle preoccupazioni espresse nei pareri motivati (cfr. infra la relativa scheda).

EUCO 1/16, 19 febbraio 2016

Motivi della segnalazione

Il 18 ed il 19 febbraio 2016 il Consiglio europeo si è riunito a Bruxelles, tra l’altro, per trovare soluzioni alle questioni poste dalla lettera del Primo ministro britannico Cameron del 10 novembre 2015 e scongiurare dunque l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (cd. Brexit), sulla base di una proposta del Presidente del Consiglio europeo Tusk del 2 febbraio 2016.

I capi di Stato e di governo, riuniti in sede di Consiglio europeo, sono giunti ad adottare una Decisione concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea che nelle Conclusioni del Consiglio è definita come «pienamente compatibile con i trattati» e «giuridicamente vincolante» ed è destinata a prendere «effetto alla data in cui il governo del Regno Unito informerà il segretario generale del Consiglio che il Regno Unito ha deciso di restare membro dell’Unione europea» (cioè: dopo lo svolgimento di un referendum nel Regno Unito che si esprima in tal senso, peraltro già fissato per il 23 giugno 2016).

Fascicolo n. 2/2024

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Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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