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Sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. II, 20.10.2009, n. 22229

La sentenza ribadisce l‘orientamento, che può definirsi consolidato a partire dalla nota sentenza Cass. SS.UU. n. 12868 del 2005, per il quale ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, perché spetta allo statuto comunale stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio.

Nel caso oggetto del giudizio emerge dallo statuto (art. 51 bis) del  comune di Civitavecchia che, in tutti i casi in cui il Comune si avvale per la difesa tecnica di propri dipendenti, non è richiesta autorizzazione a stare in giudizio o altro atto autorizzativo, comunque denominato, della giunta o di altro organo comunale monocratico o collegiale.

Sent. CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, 23.12.2009, n. 27216

Le Sezioni unite ricostruiscono, innanzitutto, in continuità con precedenti sentenze della stessa Cassazione, l’evoluzione normativa in tema di rappresentanza processuale degli enti locali siciliani. Nell’ambito della regione Sicilia, avente competenza legislativa esclusiva sull’ordinamento degli enti locali, il Sindaco, per agire o resistere in giudizio in rappresentanza del Comune, doveva essere autorizzato con deliberazione della giunta municipale vigente la l.r. Sicilia n. 16/1963, e così anche dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, introdotto dalla legge statale n. 142/1990 i cui artt. 35 e 36 erano stati recepiti dalla l.r. Sicilia n. 48/1991 con disciplina non modificata dalla successiva l.r. Sicilia n. 26/1993. Successivamente la nuova normativa regionale in tema di ripartizione delle competenze, in conformità alla distinzione tra organi di indirizzo e di controllo pubblico-amministrativo ed organi responsabili della gestione amministrativa, in linea con l’intervenuta modifica del titolo V della Costituzione e la sopravvenuta l. n. 131/2003, nonché con il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla l. statale n. 142/1990 completato dalle disposizioni successive sino al t.u. approvato con d.lg. n. 267/2000, ha profondamente innovato le precedenti attribuzioni della giunta municipale, più non includendo fra le sue competenze le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive, che quale atto gestionale e tecnico, più non necessita anche per i comuni della Regione siciliana dell’autorizzazione giuntale.

Sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11.2009, n. 23562: sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11. 2009, n. 23563; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11. 2009, n. 23564; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11.2009, n. 23565; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11.2009, n. 23566

Queste sentenze della sezione tributaria della Corte di Cassazione ribadiscono che non è configurabile il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, con riguardo ai regolamenti comunali, perché essi non sono leggi. Solo con riguardo allo Statuto (non al regolamento), infatti, la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di affermare che, in base al nuovo testo dell'art. 114 Cost., esso, ove deliberante in materie poste al riparo dalla preferenza della legge, statale o regionale, ovvero del regolamento governativo, è fonte del diritto, con la conseguenza che la violazione o falsa applicazione dello statuto comunale da parte del giudice di merito è denunciabile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 16984 del 2004).

Sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 6.11.2009, n. 23562: sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 12.1.2010, n. 302

Queste sentenze della sezione tributaria della Corte di Cassazione affermano che, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l'esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso - che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l'indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza (v. Cass. n. 1893 del 2009).

Sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 15.12.2009, n. 26267; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 15.12.2009, n. 26268; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 29.12.2009, n. 27552; sent. CASSAZIONE CIVILE, sez. trib, 29.12.2009, n. 27553.

Queste sentenze della sezione tributaria della Corte di Cassazione affermano che il regolamento comunale che disciplina l’ICI, in quanto integrativo di norme legislative (art. 52, d.lg. n. 466/1997) deve essere conosciuto e applicato dal giudice indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti (cfr. Cass. 6012/03, che a sua volta richiama Cass. 1047/98).

 Sent. CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA 25.5.2009, n. 482

La sentenza ribadisce l’illegittimità delle disposizioni regolamentari comunali che introducono limiti, divieti, vincoli e parametri urbanistici all’installazione di impianti di telefonia cellulare aventi carattere assolutamente generalizzato e indiscriminato. Come infatti ribadito da consolidata giurisprudenza, a livello locale ai sensi dell’art. 8 della l. n. 36/2001, la disciplina in materia di localizzazione degli impianti di telefonia mobile, al fine di minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici, è limitata al c.d. criterio territoriale, circoscritto alla definizione degli ‘obiettivi di qualità’ non inerenti la soglia delle emissioni e che, inoltre, non possono essere generici e generalizzati, nonché privi della indicazione di possibili localizzazioni alternative degli impianti.

Sent. CASSAZIONE CIVILE sez. lav., 6.10.2009, n. 21293

In tema di trattamento economico dei dipendenti di aziende municipalizzate, il d.l. n. 702 del 1978, art. 5ter, convertito in l. n. 3 del 1979 (che, tra l'altro, fa divieto alle aziende municipalizzate degli enti territoriali di stipulare accordi integrativi aziendali che comportino erogazioni economiche aggiuntive rispetto a quelle previste nei contratti nazionali) è norma a carattere imperativo essenzialmente intesa ad un trattamento economico uniforme su tutto il territorio nazionale per i dipendenti delle aziende municipalizzate, alla parità delle aziende suddette in relazione ai costi del personale, nonché al contenimento dei costi medesimi, onde il divieto espresso da tale norma non va inteso in senso formale e restrittivo, come impeditivo soltanto della possibilità che le aziende manifestino direttamente la volontà di obbligarsi, ma nel senso che ad essere vietato è il risultato, con qualsiasi procedimento ottenuto, di vincolare l'azienda al rispetto di statuizioni derogatorie della contrattazione nazionale che siano l'effetto di un atto perfezionatosi successivamente all'entrata in vigore della norma imperativa (Cass. 3196/2001; sulla "ratio" del divieto, v., in termini analoghi, Sez. Un. 11714/1998, secondo le quali l'art. 5-ter è norma di carattere imperativo essenzialmente intesa, come emergente anche dal contesto normativo in cui è inserita, a contenere la spesa degli enti pubblici territoriali e delle loro aziende sicché il divieto in essa contenuto deve intendersi riferito a qualunque manifestazione di volontà, anche se espressa in sede di contrattazione collettiva nazionale, diretta a conferire efficacia agli accordi stipulati in sede aziendale, con conseguente nullità anche delle clausole del contratto nazionale di categoria che, dopo il 1 marzo 1979, dispongano la proroga di accordi integrativi aziendali stipulati in epoca antecedente all'entrata in vigore della norma limitativa; conf. Cass. 12478/1999; 6161/2000; 7103/2000).

Sent. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 12.6.2009, n. 3765

Il Consiglio di Stato ribadisce che per quanto attiene alle ordinanze contingibili ed urgenti, il profilo della contingibilità sta ad indicare l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in ordine a situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente per l’incolumità pubblica; ciò che conta è che il sindaco dia adeguata contezza delle ragioni che lo hanno spinto ad usare tale strumento extra ordinem; la ragione giustificatrice del ricorso a tali provvedimenti, allora, non consiste tanto nell’imprevedibilità dell’evento quanto nell’impossibilità di utilizzare tempestivamente i rimedi normali offerti dall’ordinamento (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1844).

Fascicolo n. 2/2024

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Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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