Con la sentenza del 4 luglio 2023, n. 159, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo all’art. 43, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con legge 29 giugno 2022.
La decisione dei giudici costituzionali si inserisce nella lunga vicenda dei risarcimenti nei confronti delle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale. Ricordiamo brevemente infatti che nonostante la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2012 (CIG, Jurisdictional immunities of the State (Germany v. Italy: Greece intervening)) e in forza della sentenza della Consulta n. 238 del 2014, le corti interne italiane hanno continuato ad accogliere ricorsi contro la Germania in violazione dell’immunità cognitiva ed esecutiva della stessa.
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Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 5 settembre 2023, Udlændinge- og Integrationsministeriet (Perte de la nationalité danoise), Causa C-689/21, ECLI:EU: C:2023:626
La Corte di Giustizia, nella composizione della Grande Sezione, è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi in relazione alla revoca della cittadinanza di uno Stato membro che, stante l’assenza della cittadinanza di un altro Stato membro, determina il venir meno della cittadinanza dell’Unione di cui all’art. 20 TFUE, il quale è «destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri». La Grande Sezione ha, in primo luogo, ribadito che la suddetta decisione di revoca deve essere conforme al principio di proporzionalità e ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, tra cui in particolare il diritto alla vita privata e familiare, letto alla luce del principio del superiore interesse del minore. In secondo luogo, applicando per la prima volta i principi dell’autonomia procedurale e di effettività al settore in questione, la Corte ha individuato alcune garanzie procedurali che la legislazione e la prassi in materia di revoca devono assicurare per essere conformi al diritto dell’Unione.
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Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 28 novembre 2023, Commune d’Ans, causa 148/22, ECLI:EU:C:2023:924
Nella sentenza Commune d’Ans, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, si è pronunciata in via pregiudiziale circa il divieto contenuto in un regolamento interno imposto da un datore di lavoro pubblico ai suoi dipendenti di portare qualsiasi segno visibile che possa rivelare la loro appartenenza religiosa sul posto di lavoro. La Corte di giustizia, riprendendo la sua giurisprudenza precedente, ha, da un lato, escluso che tale divieto integri una discriminazione diretta e, dall’altro lato, rimesso al giudice nazionale la valutazione se una siffatta differenza di trattamento costituisca una discriminazione indiretta per motivi di religione o convinzioni personali. In particolare, la Corte di giustizia ha preso in esame la situazione peculiare dovuta alla natura pubblica del datore di lavoro e ha rilevato che la “neutralità esclusiva” perseguita da una pubblica amministrazione sul posto di lavoro può costituire una finalità legittima, in quanto la direttiva 2000/78 lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri quanto allo spazio che intendono concedere, al loro interno, alla religione o alle convinzioni filosofiche nel settore pubblico. Inoltre, la Corte di giustizia ha ritenuto che i mezzi appropriati e necessari per perseguire tale obiettivo non ammettano alcuna manifestazione visibile di convinzioni personali, in particolare filosofiche o religiose, sia quando i lavoratori sono a contatto con gli utenti del servizio pubblico sia quando sono a contatto tra loro, rimettendo infine al giudice nazionale il bilanciamento degli interessi in gioco, che dovrà tenere conto, da un lato, del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, il quale ha come corollario il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla religione e, dall’altro lato, del principio di neutralità dello Stato.
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