Raccordi parlamentari Italia-UE

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BVerfG, Urteil des Zweiten Senats vom 05. Mai 2020 - 2 BvR 859/15 -, Rn. 1-237

(Corte costituzionale federale tedesca, sentenza del Secondo Senato del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15 -, paras. 1-237)

ECLI:DE:BVerfG:2020:rs20200505.2bvr085915

Nella sentenza oggetto della segnalazione, il Secondo Senato del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale tedesca) ha ritenuto che il modo in cui la Corte di giustizia ha valutato la proporzionalità delle decisioni della BCE sul PSPP – nell’ambito del rinvio pregiudiziale di validità nella causa C-493/17 Weiss e a., precedentemente sollevato dal medesimo giudice nazionale – non sia metodologicamente “comprensibile” e, nella sostanza, non assicuri il rispetto del fondamentale riparto delle competenze tra l’Unione europea e i suoi Stati membri. Pertanto, il Secondo Senato ha ritenuto di non essere vincolato – sotto questo profilo – dalla sentenza Weiss e di dover procedere a verificare esso stesso se la BCE ha agito nel rispetto del proprio mandato adottando e attuando il PSPP. A tal riguardo, il giudice tedesco ha constatato che dalla documentazione a disposizione non emerge che la BCE abbia considerato adeguatamente – alla luce del principio di proporzionalità – i prevedibili effetti di politica economica del PSPP e provveduto al bilanciamento tra gli stessi e l’obiettivo di politica monetaria del programma. Allo stesso tempo, però, il Secondo Senato ha lasciato aperta la possibilità di “sanare” la lacuna riscontrata, assumendo, quindi, che possa trattarsi di un difetto motivazionale da parte della BCE, piuttosto che della omissione tout court, da parte della stessa, della valutazione di cui sopra. Il giudice tedesco ha infatti affermato che, in forza delle rispettive responsabilità con riguardo all’integrazione europea (Integrationsverantwortung) - il Governo federale e il Bundestag devono intraprendere le iniziative necessarie ad assicurare che la BCE conduca una valutazione della proporzionalità del programma. In mancanza, decorso un termine transitorio di tre mesi, le istituzioni e organi costituzionali, autorità amministrative e corti tedesche, nonché la Bundesbank, dovranno porre termine alla propria partecipazione al PSPP, in quanto basato su atti ultra vires. Al contrario, il Secondo Senato ha subito escluso, con riguardo all’asserita violazione dell’identità costituzionale, che il PSPP violi quest’ultima, in generale, e la responsabilità del Bundestag in materia di bilancio, in particolare.

Rapporto sulle “minacce alla libertà di stampa e sicurezza dei giornalisti in Europa” presentato il 3 gennaio 2020 e redatto da George Foulkes, del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Doc. 15021

Nel rapporto sulle minacce alla libertà di stampa e sulla sicurezza dei giornalisti, e in particolare nella nota esplicativa, George Folkes, relatore del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, analizza gli sviluppi e le tendenze in materia di limitazione della libertà di stampa e di sicurezza dei giornalisti dal 2017 ad oggi. In particolare, come espressamente sottolineato dal relatore[i], nel rapporto è stato rielaborato l'insieme di dati resi pubblici dalla Piattaforma per la protezione dei giornalisti, istituita nel 2015 dal Consiglio d'Europa[ii], e quelli desumibili da altri sistemi di allarme preventiva. Inoltre, sono state effettuate valutazioni che tengono conto, in generale, della particolare situazione politico-economica di certi Paesi, in cui le pressioni politiche ed economiche sulla stampa inducono, seppur in modo meno evidente, i giornalisti ad auto-censurarsi.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande sezione) del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz, Cause riunite C-558/18 e 563/18, ECLI:EU:C:2020:234

Nela sentenza Łowicz, la Grande sezione ha chiarito il diverso compito affidato alla Corte dai Trattati a seconda che essa sia investita di un rinvio pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento, nel contesto di crisi dello stato di diritto negli Stati membri. In linea con la sua giurisprudenza precedente, la Corte ha innanzitutto riaffermato la sua competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale, sulla base dell’art. 19 par. 1 comma secondo TUE, riguardo a misure adottate da uno Stato membro a riforma del proprio sistema giudiziario nazionale e tali da rimettere in questione l’indipendenza dei giudici nazionali. Tuttavia, ha contestualmente chiarito che mentre nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte deve verificare se la misura o la prassi nazionale sia – in linea generale – contraria al diritto dell’Unione, il compito della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, è quello di assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente. Nel caso di specie, la Corte ha quindi ritenuto che le domande pregiudiziali sollevate dai giudici del rinvio e volte a verificare la compatibilità con l’art. 19 par. 1 comma secondo TUE della riforma nazionale sul procedimento disciplinare nei confronti degli appartenenti alla magistratura, dovevano considerarsi irricevibili in quanto non vertevano su un’interpretazione del diritto dell’Unione rispondente ad una necessità oggettiva ai fini della soluzione delle controversie, ma avevano piuttosto un carattere generale. La Corte non ha mancato però di sottolineare come una misura di diritto interno, come quella in questione, non possa in ogni caso impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della facoltà, conferita dall’art. 267 TFUE, di adire la Corte di giustizia.

A causa dell’epidemia da Covid-19, il Governo italiano, come i Governi di molti altri Stati, ha adottato misure speciali di contenimento della diffusione del virus[1] che hanno inciso sensibilmente nella sfera dei diritti fondamentali delle persone, come i diritti alla libertà di movimento, di associazione, alla proprietà privata, all’iniziativa economica, alla privacy etc. tutelati, tra l’altro, dalla Convenzione europea dei diritti umani e da altri trattati sui diritti umani. La possibilità di introdurre limitazioni al godimento dei diritti fondamentali è prevista dalla maggior parte dei trattati sui diritti umani nella forma sia di limitazioni ordinarie, disciplinate dalle disposizioni che sanciscono specifici diritti, sia di deroghe straordinarie, disciplinate da clausole generali, come l’art. 15 della Convenzione europea dei diritti umani (d’ora innanzi “Convenzione europea”) e l’art. 4 del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici (d’ora innanzi “Patto”)[2].

Alla mezzanotte (CET) del 31 gennaio 2020, dopo un complesso negoziato protrattosi per quasi tre anni, l’evento ormai comunemente noto come “Brexit” si è perfezionato:[1] il Regno Unito è uscito dall’Unione europea. Il 1° febbraio 2020 è entrato in vigore l’Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica (di seguito, «Accordo di recesso »).[2] La presente segnalazione offre una breve sintesi dei contenuti essenziali del suddetto Accordo, dopo alcuni riferimenti all’iter negoziale.

(Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 31 gennaio 2020, Slovenia/Croazia, Causa C-457/18, ECLI:EU:C:2020:65)

La Corte ha affermato di non essere competente a statuire sul ricorso per inadempimento proposto dalla Slovenia nei confronti della Croazia, ai sensi dell’articolo 259 TFUE, poiché le asserite violazioni del diritto dell’Unione derivavano direttamente dalla presunta violazione, da parte della Croazia, degli obblighi scaturenti da una convenzione di arbitrato conclusa tra i due Stati al fine di risolvere la controversia, tra essi esistente, in merito alla definizione delle reciproche frontiere marittime e terrestri. La Corte nega la propria competenza in ragione del fatto che le violazioni lamentate risultavano meramente accessorie alla presunta violazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di arbitrato e questa costituisce un accordo internazionale di cui l’Unione non è parte e che esula dalle sue competenze.

L’avvento dell’era digitale ha avuto un impatto particolarmente forte sulla vita delle persone, rendendo necessaria una profonda riflessione sul contenuto e sulla portata dei diritti e delle libertà fondamentali. Questa circostanza riguarda in modo significativo i minori, i quali nell’ambiente digitale trovano inedite opportunità di istruzione, svago e socializzazione, ma incorrono anche in gravi rischi per la loro incolumità. Consapevole di ciò, il Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo – organo di esperti indipendenti istituito sulla base della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (CRC o Convenzione, in avanti)[1], di cui l’Italia è parte – ha ritenuto opportuna l’adozione di un General Comment volto alla rilettura della Convenzionenell’ambiente digitale[2].

(Ministero dell’interno, DECRETO 7 novembre 2019, n. 139, Regolamento recante l'impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana, che transitano in acque internazionali a rischio pirateria. (19G00145) (G.U. Serie Generale n.284 del 04-12-2019))

Con decreto n. 139/2019 il Ministero dell’interno ha determinato le modalità di impiego delle guardie giurate a bordo di navi mercantili battenti bandiera internazionale, che transitano in acque internazionali che sono a rischio di pirateria. Con tale provvedimento vengono stabilite anche le regole sulla detenzione di armi a bordo delle medesime navi. 

(Sentenza della Corte di Cassazione n. 1602 del 2020)

Con la sentenza n. 1602 del 2020 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Milano che condannava due cittadini italiani per aver commesso il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale di cui all’art. 604 bis cp. Questa disposizione, che costituisce attuazione della Convenzione ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale, prevede: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito:

Titolo completo della segnalazione "Rimessa alla Corte di giustizia la decisione sulla legittimità della previsione dell’ulteriore presupposto del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per il riconoscimento degli assegni di maternità e di natalità a stranieri titolari del permesso unico di lavoro"

Ordinanza n. 182/2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 30/07/2020 – Pubblicazione in G.U. del 05/08/2020 n. 32

Motivo della segnalazione

La questione di legittimità è stata sollevata con riferimento ad una norma della legge di bilancio 2015 (l. 23 dicembre 2014 n.190) e all’art. 74 del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in materia di “tutela e sostegno della maternità e paternità”, da parte della Corte di Cassazione. I parametri evocati erano costituiti dagli art. 3 e 31 della Carta di Nizza, e dagli art. 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, in ordine alla presunta illegittimità costituzionale, prevista nelle norme indubbiate, del prerequisito del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per l’erogazione, a stranieri, di prestazioni sociali quali l’assegno di maternità e l’assegno di natalità.

Sentenza n. 169 del 2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 28/07/2020 – Pubblicazione in G. U. 29/07/2020

Motivo della segnalazione

La decisione è stata originata dall’impugnazione in via incidentale dell’art. 10, l. n. 124/2015, contenente delega al governo per la riforma delle camere di commercio, nonché della disposizione del decreto legislativo delegato che, al fine di dare piena attuazione ai pruncipi della delega, aveva previsto l’adozione di un atto sublegislativo e disciplinato il relativo procedimento di adozione (art. 3, d.lgs. n. 219/2016). Ad avviso del rimettente TAR Lazio, la legge di delegazione sarebbe stata illegittima per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto essa non avrebbe assicurato un adeguato coinvolgimento delle Regioni nella fase di approvazione del decreto legislativo concernente la riforma delle camere di commercio: in particolare, per aver previsto un mero parere e non l’intesa tra Stato e Regioni sullo schema dell’atto legislativo.

Osservatorio sulle fonti

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