Raccordi parlamentari Italia-UE

Rubriche

 

La legge europea provinciale 2019 ha dettato, ai sensi della legge prov. 12 ottobre 2015, n. 14, disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento provinciale agli obblighi derivanti dall’Unione europea.
In particolare, l’art. 4 (Ordini e collegi professionali - specificità territoriali nell'applicazione dell'articolo 53 della direttiva 2005/36/CE) ha previsto:

Nell’ultimo mese del 2019 il Consiglio regionale ha approvato sei leggi regionali.

  1. Legge Regionale 6 dicembre 2019, n. 20, Quarta variazione al bilancio 2019-2021 e disposizioni varie, recante l’autorizzazione di spese con variazione di bilancio;
  2. Legge Regionale 20 dicembre 2019, n. 21, Modifiche alla legge regionale 9 gennaio 2014, n. 2 (Razionalizzazione e contenimento della spesa relativa al funzionamento degli organi statutari della Regione), che disciplina le modalità di scelta del personale dipendente del gruppo consiliare, il suo inquadramento giuridico e economico e le modalità di svolgimento del lavoro;
  3. Legge Regionale 20 dicembre 2019, n. 22, Modifiche alla legge regionale n. 8 del 2019 (Proroga di termini), che ha ulteriormente prorogato i termini per la valutazione degli effetti sui destinatari della legge regionale in materia di governo del territorio;

L’attività legislativa della Regione Siciliana del periodo agosto - dicembre 2019 è consistita nella approvazione di quindici leggi, un terzo delle quali sono state oggetto di impugnativa da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, e verranno analizzate in questa sede.

1. La prima legge oggetto di impugnazione governativa è la legge 6 agosto 2019, n. 14 Collegato alla legge di stabilità regionale per l’anno 2019 in materia di pubblica amministrazione e personale. Interventi in favore dell’aeroporto di Trapani Birgi. (6-8-2019).

L’anno in corso rappresenta per l’Unione europea (Unione, in avanti) un momento storico caratterizzato da molteplici sfide di diversa natura e gravità. Tra queste, recentemente si è riproposta quella dell’adesione alla Cedu.

Quest’ultima, paventata più e più volte nel corso del processo di integrazione europea per completare il sistema di tutela dei diritti fondamentali dell’Unione, è divenuta un vero e proprio precetto con il Trattato di Lisbona. In virtù di quest’ultimo, l’art. 6, par. 2, TUE, recita per l’appunto che “l’Unione aderisce alla Cedu”[1]. Il primo tentativo di dare attuazione a questa disposizione è stato posto in essere tra il 2010 e il 2013 dal cosiddetto gruppo ad hoc dei “47+1”. Al termine di un complesso negoziato, il gruppo di negoziatori aveva licenziato un progetto di accordo d’adesione[2], corredato da un pacchetto di documenti ritenuti tutti ugualmente necessari per completare il processo di adesione. Il progetto di accordo veniva di seguito sottoposto al vaglio della Corte di giustizia, attraverso una richiesta di parere avanzata dalla Commissione, ex art. 218, par. 11, TFUE. Come noto, l’esito della valutazione è giunto il 18 dicembre 2014 con il discusso parere 2/13[3]. Una decisione molto dura con cui la Corte di giustizia ha contestato la compatibilità di gran parte delle previsioni contenute nel progetto di accordo con il diritto dell’Unione, paralizzando a lungo il processo di adesione alla Cedu.

Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza 6 ottobre 2020, Causa C-134/19 P, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:C:2020:793.

La sentenza in oggetto si inserisce nel recente filone giurisprudenziale con cui la Corte di giustizia sta progressivamente circoscrivendo il limite al proprio sindacato giurisdizionale in ambito PESC, allargando le maglie della propria competenza ai ricorsi per responsabilità extracontrattuale in capo all’Unione nel quadro della PESC.

La sentenza in oggetto è stata pronunciata dalla Corte di giustizia in seguito all’impugnazione da parte della ricorrente – la Bank Refah Kargaran – della sentenza[1] con cui il Tribunale ha respinto il ricorso avanzato dalla stessa avente a oggetto una domanda fondata sull’art. 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento dei danni da essa lamentati per via dell’adozione di misure restrittive nei suoi confronti.

a) Con la legge n. 82/2020 viene autorizzata la ratifica del Trattato di estradizione tra la Repubblica  italiana e la Repubblica di Colombia, fatto a Roma il 16 dicembre 2016, e del Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Colombia di assistenza giudiziaria in materia penale, fatto a Roma il 16 dicembre 2016, nonché il del Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Colombia sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Roma il 16 dicembre 2016.

Con il primo Trattato di estradizione del 2016 viene stabilito (all’articolo 1) che ciascuna Parte, in conformità alle disposizioni del Trattato e su richiesta della Parte Richiedente, si impegna ad estradare all'altra le persone che si trovano nel proprio territorio e che sono ricercate dalla Parte Richiedente e nei confronti delle quali è stata  emessa  una  misura  privativa  della libertà personale nell'ambito di un procedimento penale o una sentenza di condanna definitiva. L’articolo 2 dispone che l'estradizione è concessa quando la richiesta si riferisce a condotte delittuose previste dalla legislazione di entrambe le Parti e che costituiscono un reato punibile con una pena  detentiva di durata minima non inferiore a tre anni.  Quando, invece, l'estradizione è richiesta per l’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva, la pena detentiva ancora da eseguire deve essere di almeno un anno. L’articolo 3 prevede che l'estradizione non è concessa se il reato per il quale è richiesta è considerato dalla Parte richiesta come un reato politico.

Lo sviluppo esponenziale di internet e delle nuove tecnologie rappresenta una grande opportunità di conoscenza e di intrattenimento per i minori, ma al tempo stesso, li espone al rischio di subire gravi violazioni di taluni diritti fondamentali loro riconosciuti, quali il diritto all'incolumità psicofisica, il diritto alla dignità personale, il diritto ad essere privi da ogni interferenza nella propria vita privata e familiare o il diritto alla privacy. La condivisione di considerevoli quantità di dati e informazioni online può infatti far sì che i minori si trovino involontariamente coinvolti in qualità di autori o di vittime di reati commessi per mezzo di internet. Inoltre, come posto in risalto da certi studi[i], la crisi di COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione di rischio per i minori, dato che durante la pandemia i minori hanno trascorso e continuano a trascorrere molto più tempo online di quanto facessero prima, spesso senza la supervisione di un adulto. Inoltre, l'attuale situazione in cui ci troviamo a causa del COVID-19 ha portato ad una dipendenza ancora maggiore da strumenti digitali e servizi offerti online; molti servizi pubblici essenziali, come l'istruzione, che prima erano erogati in presenza sono ora, infatti, offerti attraverso gli strementi della didattica a distanza.

È in questo contesto e al fine di predisporre un sistema di tutela che garantisca una adeguata protezione dei diritti del minore sia online che offline che il Comitato ONU sui diritti del fanciullo (d'ora innanzi “Comitato”)[ii] ha deciso di elaborare un  General Comment on Children's Right in Relation to the Digital Environment[iii]. Una prima versione del testo, allo stato di bozza, è stata diffusa il 13 Agosto 2020 con l'invito a tutte le parti interessate di commentare e inviare osservazioni entro il 15 novembre 2020[iv]. In base alla procedura che sarà seguita dal Comitato, quest'ultimo, poi, in seguito ad una attenta valutazione dei suggerimenti ricevuti, provvederà a redigere la versione finale e definitiva del General Comment.

Sentenza della Corte di giustizia (Prima Sezione) del 7 maggio 2020, Rina, Causa C‑641/18, ECLI:EU:C:2020:349

La Corte ha affermato che il ricorso proposto nei confronti di una persona giuridica di diritto privato che ha svolto operazioni di classificazione e certificazione di una nave su delega di uno Stato terzo rientra nella nozione di “materia civile e commerciale” di cui al regolamento 44/2001 (c.d. regolamento Bruxelles I) e, dunque, nell’ambito di applicazione di quest’ultimo, qualora la suddetta attività non risulti esercitata attraverso prerogative proprie dei poteri pubblici, valutazione questa che spetta al giudice nazionale. In tale ipotesi, la circostanza che le attività siano state poste in essere su delega di uno Stato, non osta alla competenza del giudice nazionale adito conformemente alle norme del regolamento. La Corte ha altresì precisato che, qualora il giudice nazionale ritenga che, ai sensi del diritto internazionale, le attività di classificazione e certificazione non siano state realizzate attraverso prerogative proprie dei pubblici poteri, la norma di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta alla competenza del giudice nazionale, ai sensi del regolamento. Allo stesso tempo, la Corte ha precisato che il giudice nazionale, quando dà applicazione al regolamento 44/2001, deve assicurarsi che l’accoglimento dell’eccezione di immunità giurisdizionale non comporti una lesione del diritto di avere accesso al giudice, in quanto elemento del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

BVerfG, Urteil des Zweiten Senats vom 05. Mai 2020 - 2 BvR 859/15 -, Rn. 1-237

(Corte costituzionale federale tedesca, sentenza del Secondo Senato del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15 -, paras. 1-237)

ECLI:DE:BVerfG:2020:rs20200505.2bvr085915

Nella sentenza oggetto della segnalazione, il Secondo Senato del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale tedesca) ha ritenuto che il modo in cui la Corte di giustizia ha valutato la proporzionalità delle decisioni della BCE sul PSPP – nell’ambito del rinvio pregiudiziale di validità nella causa C-493/17 Weiss e a., precedentemente sollevato dal medesimo giudice nazionale – non sia metodologicamente “comprensibile” e, nella sostanza, non assicuri il rispetto del fondamentale riparto delle competenze tra l’Unione europea e i suoi Stati membri. Pertanto, il Secondo Senato ha ritenuto di non essere vincolato – sotto questo profilo – dalla sentenza Weiss e di dover procedere a verificare esso stesso se la BCE ha agito nel rispetto del proprio mandato adottando e attuando il PSPP. A tal riguardo, il giudice tedesco ha constatato che dalla documentazione a disposizione non emerge che la BCE abbia considerato adeguatamente – alla luce del principio di proporzionalità – i prevedibili effetti di politica economica del PSPP e provveduto al bilanciamento tra gli stessi e l’obiettivo di politica monetaria del programma. Allo stesso tempo, però, il Secondo Senato ha lasciato aperta la possibilità di “sanare” la lacuna riscontrata, assumendo, quindi, che possa trattarsi di un difetto motivazionale da parte della BCE, piuttosto che della omissione tout court, da parte della stessa, della valutazione di cui sopra. Il giudice tedesco ha infatti affermato che, in forza delle rispettive responsabilità con riguardo all’integrazione europea (Integrationsverantwortung) - il Governo federale e il Bundestag devono intraprendere le iniziative necessarie ad assicurare che la BCE conduca una valutazione della proporzionalità del programma. In mancanza, decorso un termine transitorio di tre mesi, le istituzioni e organi costituzionali, autorità amministrative e corti tedesche, nonché la Bundesbank, dovranno porre termine alla propria partecipazione al PSPP, in quanto basato su atti ultra vires. Al contrario, il Secondo Senato ha subito escluso, con riguardo all’asserita violazione dell’identità costituzionale, che il PSPP violi quest’ultima, in generale, e la responsabilità del Bundestag in materia di bilancio, in particolare.

Rapporto sulle “minacce alla libertà di stampa e sicurezza dei giornalisti in Europa” presentato il 3 gennaio 2020 e redatto da George Foulkes, del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Doc. 15021

Nel rapporto sulle minacce alla libertà di stampa e sulla sicurezza dei giornalisti, e in particolare nella nota esplicativa, George Folkes, relatore del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, analizza gli sviluppi e le tendenze in materia di limitazione della libertà di stampa e di sicurezza dei giornalisti dal 2017 ad oggi. In particolare, come espressamente sottolineato dal relatore[i], nel rapporto è stato rielaborato l'insieme di dati resi pubblici dalla Piattaforma per la protezione dei giornalisti, istituita nel 2015 dal Consiglio d'Europa[ii], e quelli desumibili da altri sistemi di allarme preventiva. Inoltre, sono state effettuate valutazioni che tengono conto, in generale, della particolare situazione politico-economica di certi Paesi, in cui le pressioni politiche ed economiche sulla stampa inducono, seppur in modo meno evidente, i giornalisti ad auto-censurarsi.

Sentenza della Corte di giustizia (Grande sezione) del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz, Cause riunite C-558/18 e 563/18, ECLI:EU:C:2020:234

Nela sentenza Łowicz, la Grande sezione ha chiarito il diverso compito affidato alla Corte dai Trattati a seconda che essa sia investita di un rinvio pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento, nel contesto di crisi dello stato di diritto negli Stati membri. In linea con la sua giurisprudenza precedente, la Corte ha innanzitutto riaffermato la sua competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale, sulla base dell’art. 19 par. 1 comma secondo TUE, riguardo a misure adottate da uno Stato membro a riforma del proprio sistema giudiziario nazionale e tali da rimettere in questione l’indipendenza dei giudici nazionali. Tuttavia, ha contestualmente chiarito che mentre nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte deve verificare se la misura o la prassi nazionale sia – in linea generale – contraria al diritto dell’Unione, il compito della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, è quello di assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente. Nel caso di specie, la Corte ha quindi ritenuto che le domande pregiudiziali sollevate dai giudici del rinvio e volte a verificare la compatibilità con l’art. 19 par. 1 comma secondo TUE della riforma nazionale sul procedimento disciplinare nei confronti degli appartenenti alla magistratura, dovevano considerarsi irricevibili in quanto non vertevano su un’interpretazione del diritto dell’Unione rispondente ad una necessità oggettiva ai fini della soluzione delle controversie, ma avevano piuttosto un carattere generale. La Corte non ha mancato però di sottolineare come una misura di diritto interno, come quella in questione, non possa in ogni caso impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della facoltà, conferita dall’art. 267 TFUE, di adire la Corte di giustizia.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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