Raccordi parlamentari Italia-UE

Rubriche

CONS. GIUST. AMM. SICILIA, 25 febbraio 2021, n. 140

In difetto di dati certi e di motivazione puntuale sull'entità del fenomeno, non si comprende in che modo il distacco di utenze morose possa costituire un pericolo per la igiene e sanità pubbliche.
Un provvedimento contingibile e urgente di tale portata, incidendo sull'attività imprenditoriale del gestore del servizio idrico e sui rapporti contrattuali di utenza, doveva invece essere puntualmente motivato e dare conto della gravità della situazione che giustificava un siffatto intervento.
L'appello viene accolto anche laddove lamenta che il divieto di distacco intimato dall'ordinanza sindacale, per il fatto di non recare un termine finale di efficacia, ma di atteggiarsi quale disposizione destinata a vigere a tempo indeterminato, si pone in contraddizione con il criterio di temporaneità, che costituisce parte integrante del requisito legale della contingibilità.

CONS. STATO, sez. V, 19 gennaio 2021, n. 572

In termini generali, un'ordinanza contingibile e urgente viene adottata nelle situazioni di emergenza, in cui si deve fronteggiare un pericolo imminente, come appunto quello derivante dal crollo di un edificio per cedimenti del terreno; ciò però non significa che si possa procedere senza un'adeguata istruttoria: in tal senso, la giurisprudenza costante, per tutte C.d.S., sez. V, 29 maggio 2019, n. 3580 e 25 maggio 2012, n. 3077. È poi evidente, in termini logici prima che giuridici, che l'istruttoria adeguata deve dare atto dell'accaduto, indicare gli interventi da adottare senza indugio, ma anche individuare i soggetti a carico dei quali essi devono essere imposti, se pure in limiti di tempo compatibili con la situazione.

La crisi pandemica sviluppatasi negli ultimi due anni ha contribuito in modo profondo a modificare la struttura economica e istituzionale della nostra società. Invero, seppur negli ultimi mesi la dottrina si sia interessata maggiormente ai rapporti istituzionali e al sistema delle fonti a partire dagli atti adottati dal Governo o dal Parlamento quali risposte economiche e sanitarie alle crisi in atto, il dibattito che ha trovato uno spazio minore è stato quello della legislazione della ripresa.  In questo quadro trova una centralità rilevante l’analisi delle modalità con le quali gli Stati, ed in particolar modo l’Italia, hanno affrontato l’individuazione delle priorità e delle progettualità che rappresentano le missioni di rilancio, sia in campo economico, che sociale. L’attività compiuta da numerosi organi costituzionali per addivenire all’elaborazione di una bozza di Piano per la Ripresa e Resilienza, non solamente rappresenta uno snodo cruciale per l’approfondimento dell’effettività di una uscita dalla crisi, ma si riflette in modo particolare sulla capacità espansiva delle competenze tra Stato e Regioni, tra centro e periferie.

Nel periodo qui considerato vanno segnalati alcuni interventi legislativi regionali su temi diversi, ma che si inquadrano, vuoi per tempistica, vuoi per contenuti, in una prospettiva di accompagnamento alla fase centrale e finale della pandemia ancora in atto, in quanto diretti a disciplinare settori la mancanza della cui disciplina è stata acuita dalla pandemia stessa.

Tra gli interventi programmati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) compare finalmente anche la riforma dell’ordinamento delle professioni delle guide turistiche (v. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, M1C3.4 TURISMO 4.0, Riforma 4.1: Ordinamento delle professioni delle guide turistiche, 117). L’intervento del legislatore statale è atteso da tempo, dal momento che la disciplina della materia – strategica per il settore, chiamato ad affrontare la ripresa post-pandemica – è bloccata in una “paralisi” dovuta a una serie di vicende normative e giudiziarie succedutesi nel tempo.

Ciò non solo impedisce – in ottica ordinamentale – l’esercizio della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia ex art. 117, comma 3, Cost., e si riflette inevitabilmente sulla definizione delle politiche turistiche, riconducibili (quanto meno in via generale) alla competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 4, Cost.; ma finisce per impedire pure l’accesso alla professione da parte delle aspiranti guide, spinte talvolta a conseguire il titolo all’estero, con il rischio ulteriore di fungere da incentivo all’abusivismo.

Per comprendere la situazione odierna e l’urgenza della riforma è necessario ricapitolare brevemente l’evoluzione della disciplina delle professioni turistiche (e quindi delle guide turistiche, che qui interessano).

Il 2020 ha rappresentato senza dubbio un anno di svolta per le Regioni, sia sotto l’aspetto delle competenze, che per quanto riguarda la produzione legislativa. Un anno che verrà senza dubbio ricordato come uno dei più critici nella storia moderna e contemporanea e che quindi non può certamente non far riflettere sull’evoluzione del ruolo degli enti locali nella forma di governo locale e nel delicato equilibrio tra garanzia dei diritti individuali e tutela dell’interesse collettivo.

In questo anno, infatti, le Regioni hanno rappresentato l’anello di filtro tra i vari livelli di governo, sia per quanto riguarda la gestione dei fondi da ripartire fra le Regioni (cosa che in qualche modo si ripeterà anche con l’imminente nuovo ciclo di programmazione europea e i fondi provenienti dal PNRR), sia per la complicata gestione dell’emergenza che ne ha in qualche modo contraddistinto l’iniziativa politica e legislativa nei vari settori.

Il posto a disposizione delle Regioni nel diritto del Terzo Settore

Il Codice del Terzo Settore (d.lgs. 3 luglio 2017 n.117) ha realizzato una riforma complessiva della materia, che ha prodotto, quale principale effetto (di sistema) la conformazione della stessa secondo la fisionomia di un vero e proprio settore dell’ordinamento, recidendo i lacci che storicamente l’avevano legata ad una posizione ancillare (nel senso di sostanziale dipendenza) rispetto, soprattutto, al diritto civile e a quello tributario. Quest’operazione è avvenuta soprattutto attraverso la perimetrazione legislativa del settore, realizzata per mezzo della definizione soggettiva degli enti (del Terzo Settore) che lo compongono e degli elementi oggettivi da cui questa dipende (su tutti l’attività di interesse generale, art. 5 CTS).

L’esito della riforma (che non si esaurisce nel decreto legislativo n. 117, ma a cui contribuiscono anche altri atti primari – tra cui il decreto “impresa sociale” n. 112 del 2017 – e secondari – tra cui, ad esempio, il decreto “RUNTS” del Ministero del Lavoro n. 106 del 2016) è dunque, in termini essenziali ed estremamente generici, la creazione di uno spazio giuridico nel quale l’autonomia privata, in adempimento del principio di solidarietà e senza scopo di lucro, svolge attività di interesse generale, venendo al contempo, supportata da un intervento promozionale da parte dei pubblici poteri, e sottoposto ad obblighi di trasparenza e a forme di controlli ulteriori.

L’art. 11-quater del d.l. n. 135 del 2018 (c.d. decreto semplificazioni – cfr. la scheda del Servizio studi della Camera) ha disposto il passaggio dallo Stato alle Regioni della proprietà delle opere idroelettriche e della gestione delle relative concessioni “al fine di definire una disciplina efficiente e coerente con le disposizioni dell'ordinamento dell’Unione europea” (comma 1). Secondo il disegno di questa disposizione, “le regioni disciplinano con legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e comunque non oltre il 31 marzo 2020 le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico” (comma 1-ter). Il termine è stato successivamente prorogato al 31 ottobre 2020. I contenuti delle leggi regionali sono peraltro in gran parte predeterminati nei contenuti essenziali dallo stesso art. 11-quater. La Regione Toscana ha impugnato la disposizione davanti alla Corte costituzionale lamentandone appunto il carattere eccessivamente invasivo delle scelte regionali. La Corte, pronunciandosi con sentenza n. 155 del 2020 (cfr. G. Boggero in Osservatorio AIC 6/2020), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1-quinquies e 1-septies nelle parti in cui predeterminavano la destinazione del canone delle concessioni (al comma 1-quinquies si prevedeva che almeno il 60 per cento del canone andasse “alle province e alle città metropolitane il cui territorio è interessato dalle derivazioni”, e analogamente nel comma 1-septies con riferimento al canone aggiuntivo). Ciò in quanto si trattava di disposizioni di dettaglio non compatibili con il carattere concorrente della competenza statale e in ogni caso lesive della autonomia finanziaria regionale.

Osservatorio sulle fonti

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