Raccordi parlamentari Italia-UE

Rubriche

La legge 24 dicembre 2012, n. 234 [1], recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”, ha sostituito la legge n. 11 del 2005 (cd. legge Buttiglione),[2] apportando significative modifiche alle modalità di intervento del Parlamento, del Governo, delle regioni e degli enti locali sia nella formazione degli atti e delle politiche UE (fase ascendente) che nell’adempimento degli obblighi UE (fase discendente).[3] Talune di queste modifiche si sono rese necessarie in conseguenza della valorizzazione del ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente da parte del Trattato di Lisbona.[4] Tuttavia, in alcuni casi l’intervento del legislatore è stato determinato dalla esigenza di rendere più efficaci ed efficienti i meccanismi previsti dalla legge previgente. Questo è il caso, ad esempio, delle modifiche apportate al meccanismo della cd. «legge comunitaria», il principale strumento deputato, nel vigore della precedente disciplina, ad assicurare la conformità del nostro ordinamento a quello dell’Unione. Tali modifiche intendono infatti ovviare ai ritardi nell’approvazione della legge comunitaria, divenuti consueti e spesso causa dell’avvio di procedure di infrazione nei confronti dell’Italia.

Le Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, e la Decisione 2012/671/UE sulle funzioni giurisdizionali del vicepresidente della Corte di giustizia.

Nel precedente fascicolo di questa Rubrica si è dato conto delle modifiche apportate allo Statuto della Corte di giustizia dal Regolamento n. 741/2012. Di seguito si riportano due atti adottati successivamente e che si ricollegano al nuovo regolamento di procedura, in vigore dal 10 novembre 2012.

Il primo, che è stato adottato il 6 novembre 2012, è una raccomandazione, e quindi un atto non giuridicamente vincolante. Essa contiene delle raccomandazioni rivolte ai giudici nazionali e relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia. Queste raccomandazioni mirano a riflettere le novità introdotte con questo regolamento che possono incidere sia sul principio stesso di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sia sulle modalità di siffatti rinvii. Contengono, quindi, sia indicazioni volte ad orientare i giudici degli Stati membri circa l’opportunità di procedere ad un rinvio pregiudiziale, che indicazioni pratiche riguardo alla forma e agli effetti di un siffatto rinvio. Si sostituiscono alla nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali.[1]

La Corte di giustizia sancisce la continuità tra l’art. 51, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali e la giurisprudenza pre-Lisbona sui diritti fondamentali qua principi generali

 Nella sentenza del 26 febbraio 2013, nella causa C-617/10, Åkerberg Fransson, la Corte di giustizia, nella composizione della Grande Sezione, ha fornito un chiarimento, da tempo atteso, circa l’interpretazione dell’art. 51, par. 1, della Carta, con riferimento alla questione dell’ambito di applicazione della stessa rispetto agli Stati membri. La Corte, inoltre, si è espressa anche circa il ruolo dei giudici nazionali rispetto alla Carta.

La sentenza ha avuto origine da un rinvio pregiudiziale sollevato dallo Haparanda tingsrätt (il tribunale di primo grado svedese) nell’ambito di un procedimento per frode fiscale aggravata iniziato dall’Åklagaren (Pubblico Ministero) nei confronti del sig. Åkerberg Fransson, per aver omesso di fornire informazioni nelle dichiarazioni dei redditi, ai fini del pagamento dell’IVA, o per averle fornite in modo inesatto. Lo Skatteverket (l’amministrazione tributaria svedese) aveva nel frattempo adottato nei confronti del sig. Fransson, a motivo delle stesse comunicazioni, una decisione relativa al pagamento di una sovrattassa, divenuta definitiva. Lo Haparanda tingsrätt nutriva dubbi circa la compatibilità con il principio del ne bis in idem, quale sancito all’articolo 50 della Carta, della normativa svedese che consente il cumulo di un procedimento (e di una sanzione) di natura penale con un procedimento (e una sanzione) di carattere amministrativo. Inoltre, lo stesso giudice dubitava anche della compatibilità con il diritto dell’Unione della prassi giudiziaria nazionale che subordinava l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla CEDU o dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dai testi interessati o dalla relativa giurisprudenza. Per tali motivi, lo Haparanda tingsrätt ha ritenuto di dover chiedere chiarimenti alla Corte di giustizia.

La Direttiva 2012/29/UE,[1] recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, si colloca nel solco della tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime (cd. tabella di marcia di Budapest) elaborata dalla risoluzione del Consiglio del 10 giugno 2011. Secondo quanto previsto dal suo quarto considerando, la direttiva «mira a rivedere e a integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI e a realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali». La sua base giuridica è l’art. 82, par. 2, TFUE, e per questo motivo, come già la decisione quadro citata, anche la nuova direttiva contiene esclusivamente delle prescrizioni minime, con la conseguenza che è lasciata la possibilità agli Stati membri di ampliare i diritti dalla stessa previsti, al fine di assicurare un livello di protezione delle vittime più elevato.[2]

La regolamentazione del diritto di accesso delle emittenti televisive a eventi di grande interesse pubblico trasmessi in esclusiva da un’altra emittente, ai fini della realizzazione di brevi estratti di cronaca, non viola gli artt. 16 e 17 della Carta [1]

L’art. 15, par. 1, della direttiva 2010/13/UE (cd. direttiva Servizi di media audiovisivi)[2] impone agli Stati membri di provvedere affinché ogni emittente stabilita nell’Unione abbia accesso, ai fini della realizzazione di brevi estratti di cronaca, a eventi di grande interesse pubblico trasmessi in esclusiva da un’emittente soggetta alla loro giurisdizione. Tale accesso deve poter avvenire a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie. Al par. 6, si precisa che, qualora sia previsto un compenso, questo non deve superare i costi supplementari direttamente sostenuti per la fornitura dell’accesso.

La Corte di giustizia si pronuncia a favore della validità della modifica all’art. 136 TFUE e della compatibilità con il diritto dell’Unione del Trattato che istituisce un meccanismo europeo di stabilità

Nella riunione del Consiglio europeo del 28 e 29 ottobre 2010, i capi di Stato o di governo hanno convenuto sulla necessità che gli Stati membri istituiscano un meccanismo permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme. Pertanto, il presidente del Consiglio europeo è stato invitato ad avviare consultazioni con i membri del Consiglio europeo su una modifica del Trattato FUE a tal fine. Il 16 dicembre 2010 il governo belga ha presentato, in conformità dell’articolo 48, par. 6, primo comma, TUE, un progetto di modifica dell’articolo 136 TFUE, consistente nell’aggiunta di un terzo paragrafo del seguente tenore: «[g]li Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità». Questa modifica è stata prevista dalla decisione del Consiglio europeo 2011/199/UE,[1] destinata ad entrare in vigore il 1° gennaio 2013.[2] Al tempo stesso, il Consiglio europeo ha adottato conclusioni sul futuro meccanismo di stabilità, e già il 2 febbraio 2012 veniva firmato il Trattato che istituisce un meccanismo europeo di stabilità (in seguito, il Trattato MES).[3]

L’abbassamento dell’età pensionabile di giudici, procuratori e notai da 70 a 62 anni ad opera della nuova Costituzione ungherese viola la direttiva 2000/78/CE [1]          

La sentenza della Corte di giustizia del 6 novembre 2012, nella causa C-286/12, Commissione c. Ungheria, si colloca nel solco delle vicende relative all’adozione della nuova Legge Fondamentale ungherese, promulgata il 25 aprile 2011 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2012.[2] Si tratta, infatti, della sentenza che chiude una delle tre procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Ungheria per pretese violazioni del diritto dell’Unione europea ad opera della nuova Costituzione e delle cd. leggi cardinali adottate contestualmente.[3] La Commissione ha deciso di chiudere la procedura di infrazione relativa alla mancanza di adeguate garanzie di indipendenza della banca centrale ungherese, in conseguenza dell’approvazione, con il voto favorevole della BCE, di alcuni emendamenti presentati dal Parlamento al Governo. Al contrario, la Commissione ha deciso di coltivare le procedure relative all’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici, notai e procuratori, e all’indipendenza del garante nazionale dei dati personali. In entrambi i casi, la Commissione ha ritenuto di dover porre la questione all’attenzione della Corte di giustizia, presso la quale è ancora pendente il ricorso relativo all’indipendenza del garante ungherese dei dati personali. Con la sentenza in esame, invece, la Corte di giustizia ha rilevato che l’abbassamento dell’età pensionabile di giudici, notai e procuratori da 70 a 62 anni costituisce una discriminazione ingiustificata in base all’età, e pertanto vietata dalla direttiva 2000/78/CE.[4]

Ancora sulla rilevanza dei diritti fondamentali - quali garantiti dalla Carta UE e dalle costituzioni nazionali - nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo

Nell’arco di poco meno di un mese, la Corte di giustizia, nella composizione della Grande Sezione, ha deliberato due sentenze in cui emerge ancora il delicato rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali della persona e una cooperazione giudiziaria efficace ed efficiente nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo, istituito dalla decisione quadro 2002/584/GAI.[1] Nella sentenza Radu, emessa il 29 gennaio 2013, la Corte era sostanzialmente chiamata a chiarire se l’omessa audizione della persona destinataria di un mandato d’arresto europeo finalizzato all’esercizio dell’azione penale costituisce una violazione dei diritti garantiti dagli articoli 47 e 48 della Carta, idonea a giustificare un eventuale rifiuto di eseguire il mandato al di là dei motivi di non esecuzione, obbligatori e facoltativi, previsti dalla decisione quadro. Invece, nella sentenza Melloni, emessa il 26 febbraio 2013 e originata da un rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunal Constitucional (Corte costituzionale spagnola), la Corte era chiamata ad esaminare la compatibilità dell’art. 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI, nella versione modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI,[2] con gli articoli 47 e 48, par. 2, della Carta. Inoltre, il giudice del rinvio chiedeva anche alla Corte di interpretare l’art. 53 della Carta, onde chiarire se il richiamo al livello di protezione garantito dalle costituzioni nazionali - e più alto rispetto a quello della Carta stessa - deve essere interpretato come una deroga al principio del primato del diritto dell’Unione europea.

La procedura d'infrazione è volta a rilevare eventuali inadempimenti da parte degli Stati di obblighi ad essi imposti dal diritto dell'Unione europea. La sua disciplina è contenuta negli articoli da 258 a 260 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE). I ricorsi possono essere proposti dalla Commissione (art. 258 TFUE) oppure da un altro Stato membro (art. 259 TFUE); tuttavia, ad oggi questa seconda ipotesi si è verificata in pochi casi. Nell'ipotesi più frequente, è la Commissione che dà avvio alla procedura, spesso sulla base di segnalazioni provenienti da persone fisiche o giuridiche.

La Commissione non ha tuttavia un obbligo di dare seguito ad ogni segnalazione e, infatti, nella prassi essa procede solo nel caso di violazioni ritenute sostanziali; inoltre, anche una volta avviata la procedura, la sua prosecuzione non è un atto dovuto da parte della Commissione, che può dunque decidere se intraprendere o meno gli steps successivi che sono di sua competenza (in sostanza, l'invio del parere motivato e la decisione di ricorrere alla Corte di giustizia). La prima fase della procedura – definita «precontenziosa» – si apre con l'invio di una lettera detta di «intimazione» o di «addebito» allo Stato membro ritenuto inadempiente. La lettera di addebito circoscrive la materia del contendere, cosicché, nell'ipotesi in cui la Commissione decida di proseguire nell'iniziativa, l'oggetto della procedura non può essere ulteriormente ampliato. Allo Stato interessato è assegnato un termine per presentare delle osservazioni (art. 258.1 TFUE).

Ord. TAR Lazio sez. II bis 5.4.2013, n. 1488

Il Tar Lazio premette che la peculiare condizione di pericolo per la salute umana connessa alla concentrazione di arsenico nell'acqua del sistema idrico comunale giustifica l'adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente.

Ricorda poi che, alla stregua della costante giurisprudenza concernente la mancata adozione di provvedimenti attuativi di disposizioni legislative, le norme di legge che pongono criteri puntuali di regolazione del mercato a tutela della concorrenza e dei consumatori, quale la correlazione fra tariffa e qualità dell'acqua – bene primario essenziale alla vita e salute umana alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione –, devono trovare piena e diretta attuazione anche nelle more dei necessari adempimenti attuativi della Pubblica Amministrazione, ivi incluse le Autorità indipendenti.

Osservatorio sulle fonti

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